3.08. LA LOTTA DI MARTIN LUTHER KING CONTRO RAZZISMO E CAPITALISMO
Passiamo ora alla famosa figura di Martin Luther King (Atlanta, 15 gennaio 1929 – Memphis, 4 aprile 1968), uno dei più famosi apostoli della lotta non-violenta per i diritti civili. Meno nota è la radicalizzazione del suo pensiero avvenuta nei suoi ultimi tre anni di vita. Scrive Domenico Losurdo:
«In quegli anni il pensiero del leader afro-americano conosceva un processo di radicalizzazione su tutta la linea. Il concetto di violenza tendeva ad allargarsi. Il segregazionismo, la discriminazione razziale e la violenza in essi implicita non si manifestavano soltanto sul piano legale; era necessario altresì conseguire “la fine del segregazionismo di fatto attuato nelle scuole, l’eliminazione della discriminazione nelle abitazioni e nei posti di lavoro”. La violenza si poteva altresì annidare nei rapporti sociali in quanto tali. Ecco allora la messa in guardia contro “la violenza della povertà e dell’umiliazione” e cioè contro “la violenza quotidiana che la nostra società infligge a tanti suoi membri”, contro la “continua violenza” implicita nella polarizzazione estrema di ricchezza e povertà. […] Per di più, quanto più infuriava la guerra in Vietnam, tanto più evidente diveniva il rapporto tra la violenza scatenata in Asia e la violenza che negli USA continuava a pesare in vario modo sugli afroamericani. L’ulteriore dilatarsi del bilancio militare avveniva di fatto a discapito della spesa sociale necessaria per porre rimedio alla “spaventosa condizione dei neri”. […] In altre parole, la scalata della violenza militare in Vietnam rendeva quanto mai problematica la prospettiva della fine della violenza insita in rapporti sociali che condannavano gli afro-americani ad essere disoccupati o ad essere relegati nei segmenti inferiori del mercato del lavoro, ad affollare le carceri e i bracci della morte. Sull’intreccio tra questi due tipi di violenza, disattendendo gli inviti alla prudenza che gli provenivano da certi suoi collaboratori, King richiamava ripetutamente l’attenzione negli ultimi mesi della sua vita: “Dobbiamo inevitabilmente sollevare il problema del tragico rovesciamento delle priorità. Spendiamo tutto questo denaro per la morte e la distruzione, mentre non ne assegniamo a sufficienza per la vita e lo sviluppo […]. Quando le armi da guerra diventano un’ossessione nazionale, ne soffrono inevitabilmente gli imperativi sociali”. E ancora: “Il movimento deve attrezzarsi per ristrutturare l’intera società americana. Il problema che è dinanzi a noi […] non può essere risolto senza una radicale redistribuzione del potere economico e politico”. […] L’impegno di King alla non-violenza rimaneva fermo, e tuttavia il radicalismo di queste posizioni suonava come una dichiarazione di guerra alle orecchie della classe e dell’ideologia dominanti».L’attacco al capitalismo è ormai esplicito e palese. Si legga questo discorso del 1967:
«Vi sono in questo paese 40 milioni di poveri, e un giorno dovremo chiederci: Perché vi sono 40 milioni di poveri in America? E quando ti fai questa domanda cominci a porti degli interrogativi sul sistema economico e su una più ampia distribuzione della ricchezza. E quando ti poni queste domande, cominci a mettere in questione l’economia capitalistica. Io dico semplicemente che dobbiamo cominciare a porre sempre più delle domande all’intera società. Siamo chiamati ad aiutare gli scoraggiati mendicanti sulla piazza del mercato dell’esistenza, ma un giorno dobbiamo giungere a capire che un edificio che produce mendicanti ha bisogno di essere ristrutturato... […] Ora quando vi dico di mettere in questione l’intera società, questo significa giungere a capire che il problema del razzismo, il problema dello sfruttamento economico e il problema della guerra sono tutti legati assieme… Una nazione che tiene la gente in schiavitù per 244 anni reificherà queste persone, ne farà delle cose. E quindi sfrutterà economicamente loro e i poveri in generale. E una nazione che sfrutti economicamente dovrà compiere degli investimenti all’estero e dovrà usare la forza militare per proteggerli. Tutti questi problemi sono legati insieme».È noto d’altronde che l’FBI di J. Edgar Hoover, esponente di punta dell’anticomunismo statunitense, teneva sotto controllo già da anni King, spiandolo, pedinandolo, screditandolo, perseguitandolo e invitandolo perfino al suicidio con una lettera anonima. Nel 1975 ha scritto a riguardo l’ex-vicepresidente USA Walter Mondale: «Anche se Edgar [Hoover] e l’FBI non parteciparono materialmente al crimine, ne hanno sicuramente almeno una parte di colpa. […] Il modo in cui Martin Luther King è stato perseguitato e tormentato è una vergogna per ogni americano». Non ci sono quindi le prove ma permane il dubbio che King sia stato ucciso dallo Stato nel momento in cui, raggiunta la parità giuridico-formale per gli afroamericani con le leggi civili del 1964-65, inizia ad occuparsi della questione sociale, contestando la politica estera degli USA (Vietnam) e si avvicina a proposte programmatiche assai critiche del capitalismo e tendenti al socialismo.30
30. Fonti usate: D. Losurdo, La non-violenza, cit., pp. 166-169; M. Aprile, Martin Luther King: il potere di un sogno, NPG, n° 59, settembre 2008.