28. LA LOTTA ANTIRAZZISTA E FILOSOVIETICA DI PAUL ROBESON
«Oggi gli artisti devono schierarsi.
O sono con voi o sono contro di voi.
O sono per la libertà o sono per lo schiavismo».
O sono con voi o sono contro di voi.
O sono per la libertà o sono per lo schiavismo».
Paul LeRoy Bustill Robeson (Providence, 9 aprile 1898 – Philadelphia, 23 gennaio 1976) è stato un attore, cestista, cantante, poliglotta, avvocato, cantante baritono-basso e attivista per i diritti civili statunitense. Per conoscerlo meglio diamo spazio ad una completa monografia curata da Sandro Damiani59:
Negli anni '30«Nel corso del Novecento il mondo afroamericano ha espresso numerosi personaggi che l'America razzista e segregazionista ha odiato con tutto il cuore. Nessuno, però, ha raggiunto i picchi di Paul Robeson. Motivo? Il fatto di essere stato una sorta di re Mida: questi, qualsiasi cosa toccasse diventava oro. Infatti Robeson, in qualsiasi campo si impegnasse, sbaragliava la concorrenza, costringendo tutti a parlare di lui in termini superlativi. Per molti anni, fino alla metà dei Trenta, Paul Robeson ha avuto facile gioco: in pratica, era inattaccabile. I suoi detrattori (pochi e camuffati, ché non c'era modo di sminuirne il valore) erano totalmente privi di argomenti. Quando entrava in campo, saliva su un palcoscenico, si affacciava dallo schermo cinematografico, non restava che togliersi il cappello. L'alibi per attaccarlo con indicibile veemenza, tuttavia, alla fine è arrivato: nel 1934, a seguito del viaggio di Paul Robeson in Unione Sovietica, paese ove si recherà più volte nel corso della sua vita, prima e dopo la seconda guerra mondiale. Ovviamente, non furono i viaggi in URSS in sé, con tanto di concerti, a dar vita alle incessanti campagne di odio nei suoi confronti, ma il fatto che egli giudicasse più che benevolmente l'idea di socialismo, di comunismo, il regime sovietico (e nel dopoguerra le altre “democrazie popolari”). Insomma, siccome era comunista […] allora attacchi, denigrazioni e tutto ciò che gli venne fatto passare, e che vedremo più avanti, oltre che giustificato era dovuto, un dovere morale di ogni buon patriota americano! […] Figlio di William Drew Robeson, un ex schiavo fuggito bambino da una piantagione e divenuto pastore presbiteriano, e di Maria Louisa Bustin, appartenente ad una famiglia i cui bisnonni alla fine del Settecento avevano dato inizio alle lotte per la liberazione del proprio popolo, fin da giovane Paul si distingue in virtù di una incredibile serie di talenti: sportivi, umanistici, artistici. E ciò, nonostante abbia un'infanzia e una giovinezza più che tribolata: orfano di madre a sei anni (e di padre a venti), ben presto si deve dare da fare per contribuire alle finanze di casa, dove ci sono numerose bocche da sfamare (due fratelli e una sorella). […] Ma Paul non ho solo i grandi talenti dell'artista, egli nutre una grande curiosità verso tutto lo scibile. Innanzi tutto verso le radici del proprio popolo, verso l'Africa, la sua storia, quella dello schiavismo».
«prosegue l'attività concertistica, con tour in tutta Europa e film, più in Inghilterra che non in USA. Ma si accentua anche il suo impegno politico su tantissimi fronti. Tre su tutti: il primo, sempre all'ordine del giorno, la lotta per i diritti dei neri d'America; il secondo, una incessante campagna antifascista e antinazista, a fianco del popolo ebraico, con accuse nei riguardi dei governi di Londra, Parigi e Washington che nulla fanno di fronte all'espansionismo militaristico di Germania e Italia e (terzo) in difesa della Repubblica Spagnola massacrata da Franco e soprattutto dai suoi alleati romani e berlinesi. In Spagna, anzi, Paul interviene in prima persona, recandovisi e incontrando la Brigata Abraham Lincoln formata da volontari americani bianchi e neri. È in questa occasione che Paul Robeson fa un'affermazione, propria dell'etica sartriana e brechtiana: “Oggi gli artisti devono schierarsi. O sono con voi o sono contro di voi. O sono per la libertà o sono per lo schiavismo”. […] la fama di Paul Robeson, le sue influenti amicizie in tutto il mondo, il rispetto di cui gode non fanno da velo all'America più oscura, ignorante, retriva, rozza, violenta – in una parola, fascista. Sin dal 1934 l'establishment da chiari segnali di inimicizia nei suoi riguardi. Ma è dal 1941 che le cose si aggravano: in presenza della forzata alleanza militare USA-URSS. Paradossalmente, è sospettato di “intelligence” col nemico: l'alleato sovietico! Da questo momento fino alla sua scomparsa, l'FBI produrrà un dossier di alcune migliaia di pagine, in pratica tutta la sua vita passo dopo passo, giorno dopo giorno fino al 23 gennaio del 1976. […] A proposito di Nixon, va ricordata la sua risposta a chi gli chiese chi, secondo lui, erano i comunisti: “Tutti coloro che frequentavano i concerti di Paul Robeson”. […] Tuttavia, fintanto che dura la guerra, Paul se la deve vedere con gli attacchi giornalistici e i piccoli ostruzionismi (ma niente di nuovo) e il “normalissimo” razzismo della strada, fatto di ingiurie, offese, sputi. I guai iniziano con la fine della guerra “calda” e l'inizio di quella “fredda”, nel 1946. Naturalmente, Robeson ci mette del suo. Sconfitto il fronte nazifascista, bisogna impegnarsi fino all'inverosimile in quello di sempre: la difesa dei diritti dei neri. Ed ecco che fonda l'American Crusade Against Linching e con una delegazione si reca dal presidente Harry Truman per chiedere il suo aperto appoggio nella lotta contro il linciaggio e la segregazione razziale. Pedinamenti, pressioni di vario tipo, cancellazione di concerti e ogni manifestazione a cui dovrebbe partecipare, azzeramento mediatico, interrogatori da parte dell'FBI sono all'ordine del giorno. Tanto per avere chiara la dimensione di quest'opera ostruzionistica e censoria: nel 1947 Paul denuncia introiti per 105.000 dollari (cifra da favola per l'epoca); nel 1950, appena 2.500. Nel solo 1949 gli vengono annullati oltre cento concerti. Da ricordare anche gli incidenti a Peekskill (N.Y.) nel 1949, dove attivisti di destra cercarono senza successo, ma ricorrendo anche alla violenza, di impedire un suo concerto di protesta organizzato dalle Work Unions. Nel 1950 il governo si decide per il passo più grave: il sequestro del passaporto. A nulla valgono le proteste e le petizioni di milioni di persone e migliaia di eminenti personalità di tutto il mondo. La causa scatenante – o meglio, la “scusa” – è l'attacco di Robeson alla politica americana in Asia (Corea). […] nel 1952 gli viene conferito il Premio Stalin per la pace dall'URSS. […] Nel 1955 compare di fronte alla famigerata commissione “mangiacomunisti”. Tutti sanno che Paul non è mai stato membro del Partito, però – ecco la colpa grave, accanto a quella di essere nero e famoso – ha simpatie socialiste, e tanto basta. Uno dei commissari, nell'interrogarlo, gli chiede perché, visto che parla tanto bene dell'Unione Sovietica, non ci va a vivere. “Perché – è la risposta – questo è il mio paese, qui mio padre è stato schiavo e la mia gente è morta per costruirlo. Ho gli stessi diritti – conclude rivolgendosi al giudice – che ha lei e non c'è fascista che me li toglierà; chiaro?” […] Nel 1977, in occasione del settantacinquesimo compleanno, Harry Belafonte gli organizza una serata d'onore alla Carnagie Hall. Ci sono Miles Davis e Billy Eckstine, Dizzy Gillespie e Sidney Poatier, Coretta Scott King, vedova di Martin Luther, e Arthur Ashe (il tennista), Odetta e Angela Davis. E non mancano neppure Pete Seeger, Leonard Bernstein, nonchè Indira Ghandi e il leader tanzaniano e amico da una vita Julius Nyerere… L'anno successivo, dopo due attacchi cardiaci, Paul Robeson muore. Ai funerali accorreranno più di cinque mila persone, mentre la messa sarà officiata dal fratello, il reverendo Benjamin C. Robeson».
In Italia è un artistia poco noto e da riscoprire, forse anche perché è uno dei pochi paesi in cui Robeson non è mai venuto per uno dei suoi concerti. Basti dire che nel centenario dalla nascita, nel 1998, Robeson è «stato celebrato in tutte le metropoli americane e in decine di altre città meno grandi. Ma anche all'estero: Toronto (con il 9 aprile proclamato “Paul Robeson Day”), Vancouver, Montreal, Città del Messico, Melbourne, Londra, Liverpool, Cardiff, Tampere, Parigi, Berlino, Berna, Zurigo, Lisbona, Gerusalemme. In Cina e in India!»
59. S. Damiani, Paul Robeson – Monografia, Musica & Memoria, settembre 2008.