21 Novembre 2024

2.7. L'INDUSTRIALIZZAZIONE PIANIFICATA E LA COLLETTIVIZZAZIONE AGRICOLA

«Per eliminare i kulaki come classe non è sufficiente la politica di limitazione e di eliminazione di singoli gruppi di kulaki. Per eliminare i kulaki come classe, è necessario spezzare con una lotta aperta la resistenza di questa classe e privarla delle fonti economiche della sua esistenza e del suo sviluppo (libera utilizzazione della terra, mezzi di produzione, affitto, diritto di ingaggiare mano d'opera salariata, ecc.). In questo appunto consiste la svolta verso la politica di liquidazione dei kulaki come classe. […] Senza di questo, non è concepibile nessuna collettivizzazione seria, e tanto meno una collettivizzazione integrale della campagna».
(Stalin, Sul problema della politica di liquidazione dei kulaki come classe, 21 gennaio 1930)67
La consapevolezza dei limiti della NEP (la cui durata va dal 1922 al 1927) era sempre stata chiara al gruppo dirigente bolscevico, soprattutto per i suoi limiti ideologici di compromesso tattico. Alcuni dirigenti (Bucharin, ma secondo molte interpretazioni anche “l'ultimo” Lenin) vi avevano però visto un'opzione strategica di fondo da cui non si poteva deviare al fine di garantire una transizione graduale e pacifica verso il socialismo, priva dei terribili conflitti sociali avvenuti negli anni del comunismo di guerra. A metà degli anni '20 però il quadro politico interno ed internazionale stava cambiando. Vi era ormai la consapevolezza del mutato clima internazionale68, che rendeva palese il fallimento delle rivoluzioni in Europa e la necessità di costruire il socialismo nella sola URSS, nella convinzione che le sorti della rivoluzione mondiale dipendessero dalla sopravvivenza politica di questo regime; dal punto di vista pratico ciò significava pervenire in tempi rapidi ad un'industrializzazione che rendesse il paese in grado di competere economicamente e militarmente con il mondo capitalistico ostile, dal cui orizzonte spiravano nuovamente venti di guerra e di blocco economico69. Per fare ciò fu presto chiaro che, in mancanza di capitali esteri, occorreva forzare le tappe di uno sviluppo armonico a favore di uno “sviluppo diseguale” in cui si dovesse fondare l'accumulazione di capitale necessario ai grandi investimenti a danno del settore agricolo, che costituiva a livello quantitativo la principale risorsa economica del Paese. Scrive la Di Leo:
«la strategia dello sviluppo diseguale risale all'originario contributo teorico di economisti, utopisti massimalisti, come Yevgeny Preobraženskij e Georgij Pjatakov, rivoluzionari di professione in gran parte ispirati da Trockij. La strategia risale alla fine degli anni venti ma non è stata ripudiata sino alla fine dell'URSS».70
Il ragionamento è riassunto in maniera perfetta da Bucharin in una lettera a Kamenev del luglio 192871:
«La linea di Stalin è questa: “Il capitalismo è cresciuto o a spese delle colonie, o con i prestiti, o sfruttando gli operai. Noi colonie non ne abbiamo, di prestiti non ce ne danno, e perciò non possiamo che fondarci su un tributo imposto alle campagne”... Come capirai, si tratta della teoria di Preobraženskij... Ma l'esazione di un tributo farà crescere la resistenza, e sarà perciò necessario un potere duro... Stalin ragiona così: “Estrarrò il grano con misure straordinarie... Ma se servono tali misure, solo io sono in grado di applicarle”.»
Il problema si collegava con la questione dei kulaki, quella piccola percentuale di contadini benestanti che rifiutavano di rivendere il proprio surplus ad un prezzo politico a loro sfavorevole. La soluzione trovata da Stalin (che portò peraltro alla rottura con Bucharin) fu di impostare la campagna sul piano politico contro i kulaki al fine di poter non solo acquisire quel capitale necessario agli investimenti industriali, ma anche di realizzare un ferreo controllo sociale ed economico sul mondo contadino, da sempre spina nel fianco del regime. Le requisizioni furono portate avanti, di fronte alla resistenza dei contadini, con le pratiche tipiche del terrore. Parallelamente si ristrutturava il mondo economico delle campagne attraverso la collettivizzazione dell'agricoltura che, pur con risultati produttivi alterni, garantì a Stalin il raggiungimento del doppio obiettivo di essersi garantito una distribuzione costante di rifornimenti alimentari (per il mantenimento delle città e degli operai, oltre che per gli investimenti industriali), e di aver sottomesso la principale forza sociale in grado di opporsi alle politiche del regime (garantendosi così delle retrovie pacificate in caso di guerra).
Il prezzo politico, sociale e umano dell'operazione fu però elevatissimo: l'operazione ebbe contraccolpi e conseguenze devastanti ad ogni livello. La principale fu certamente la carestia del 1932-33 che produssero le prolungate requisizioni. La sua concentrazione nella regione ucraina ha dato adito alla polemica sull'Holodomor, secondo la quale Stalin avrebbe voluto risolvere la “questione ucraina” programmando scientificamente un genocidio che avrebbe stroncato una volta per tutte il protagonismo nazionalistico della regione. L'interpretazione di un genocidio “etnico” non pare attendibile, non trovando riscontro né nelle teorie né nelle pratiche portate avanti da Stalin precedentemente sulle varie “questioni nazionali”. Anzi, emerge che Stalin fu sempre molto attento a questa problematica, dedicando ad essa particolare lavorio teorico e una costante preoccupazione politica, a differenza di altri dirigenti sovietici72. Non sembra però infondata l'ipotesi che Stalin abbia voluto far capire nella maniera più spietata possibile alle campagne (ed in particolar modo alla regione ucraina, da sempre il granaio dell'URSS e tra le regioni più riottose al potere centrale73) che non era ormai più possibile nessun tipo di disobbedienza, e che per fare questo sia stato scientemente programmata la volontà di mettere per lungo tempo alla fame le campagne. È altresì possibile che la situazione gli sia sfuggita di mano e non abbia potuto rendersi effettivamente conto del livello tragico cui era arrivata la “lezione” che secondo diverse stime fece circa 5 milioni di morti. Comunque lo si voglia considerare (errore politico, atto di crudeltà gratuita, punizione eccessiva, mancanza di contatto con il territorio) la terribile carestia del '32-33, unita alla complessiva campagna di dekulakizzazione, ebbe effetti devastanti sul tessuto sociale e politico del partito, alimentando l'instabilità sociale e l'opposizione politica ormai clandestina. Anche l'industrializzazione pianificata, pur nel successo complessivo dei grandi numeri74, non fu esente da diversi errori e problematiche75 dovute anche al carattere totalmente inedito e, agli occhi degli statisti occidentali (alle prese con la crisi del '29), sbalorditivo di un esperimento di ingegneria sociale dalle proporzioni abnormi. Stalin mostrava però qui alcuni limiti riscontrati già da Lenin nel suo Testamento Politico e decise di reagire alla difficilissima situazione interna attraverso la progressiva costruzione del culto del leader vivente e infallibile. Nonostante ci fossero effettivi atti di sabotaggio e cospirazioni, riconosciuti a livello internazionale, la costante ricerca di “capri espiatori” (una pratica questa, quella «di trovare dei capri espiatori per i propri errori politici e di additarli alle masse in processi pubblici» che non fu invenzione di Stalin ma che fu già formalizzata da Lenin)76 cui addossare le colpe è stata esagerata e ha avuto anche uno scopo politico: la ricerca dei colpevoli venne legata alla latente guerra civile in corso con l'opposizione politica, ma fu usata anche per spianare il terreno al progetto operaista e rafforzare l'autocrazia staliniana. Un esempio in tal senso fu la sostituzione dei tecnici e dirigenti aziendali borghesi e stranieri con la nuova leva operaia77.
67. J. Stalin, Opere Scelte, cit. pp. 702-703.
68. E. H. Carr, La Rivoluzione Russa, cit. p. 103.
69. Ivi, p. 129.
70. R. Di Leo, L'esperimento profano, cit. pp. 78-79; tale strategia andava quindi ad opporsi a quella dello “sviluppo organico” del socialismo che ebbe come uno dei massimi teorizzatori Bucharin, vd A. Salomoni, Il pane quotidiano, cit. p. 23.
71. Citata in A. Graziosi, L'URSS di Lenin e Stalin, cit. p. 215.
72. A riguardo è utile la consultazione di D. Losurdo, Stalin, cit. pp. 161-165, 191-192, 224-228, da mettere però criticamente a confronto con A. Graziosi, Storia dell'URSS di Lenin e Stalin, cit. pp. 340-341.
73. Ivi, p. 204.
74. E. J. Hobsbawm, Il secolo breve, cit. pp. 444-447.
75. A riguardo può essere utile la lettura de M. Dobb, Le ragioni del socialismo, Editori Riuniti, Roma 1975.
76. Come emerge da A. Graziosi, Storia dell'URSS di Lenin e Stalin, cit. p. 167.
77. R. Di Leo, L'esperimento profano, cit. pp. 44-45.

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