2.4. DAL II CONGRESSO PANRUSSO DEI SOVIET ALLA PRESA DEL POTERE
«Abbiamo il diritto di essere fieri e di considerarci felici di essere stati i primi ad abbattere in un angolo del globo terrestre questa belva feroce, il capitalismo, che ha inondato il mondo di sangue, e ha portato l’umanità alla fame e all’abbrutimento». (Vladimir Lenin, da Parole profetiche, 29 giugno 1918)
«Il II congresso panrusso dei soviet, che esprimeva gli interessi del popolo lavoratore, rafforzò, con le sue decisioni, la vittoria dell’insurrezione armata. Il congresso iniziò i suoi lavori allo Smolnyj alle 22.45 del 25 ottobre (7 novembre). Erano rappresentati 402 soviet, più che nel I congresso del giugno 1917. La composizione del congresso rifletteva il rapporto delle forze di classe che si era creato nell’ottobre 1917. Su 673 delegati, 390 erano bolscevichi, 160 socialrivoluzionari (per la maggior parte socialrivoluzionari di sinistra), 72 menscevichi. I rimanenti rappresentavano piccole frazioni o erano delegati senza partito. 505 delegati avevano ricevuto dai loro elettori il mandato che esigeva il passaggio del potere ai soviet. Nel mandato del soviet di Minsk, per esempio, si diceva: “Tutto il potere del paese deve appartenere soltanto ai soviet dei deputati operai, soldati e contadini. Nessun accordo con la grossa borghesia, nessuna partecipazione a un governo dei capitalisti”. Il mandato chiedeva di concludere una pace giusta e democratica, di liquidare la proprietà privata sulla terra e di dare subito, ancor prima dell’Assemblea costituente, la terra ai contadini. Un altro mandato, quello del soviet di Lugansk, rilevava: “L’unica via d’uscita dall’attuale situazione noi la vediamo nell’immediato passaggio del potere nelle mani dei soviet dei deputati operai, soldati e contadini”. Anche questo mandato esigeva una pace senza annessioni né riparazioni di guerra, sulla base dell’autodeterminazione dei popoli, lo scioglimento del pre-Parlamento, l’introduzione del controllo operaio sulla produzione. I contadini del distretto di Gdov scrissero che il governo provvisorio si era dimostrato completamente incapace di accogliere la volontà popolare: “Noi - dichiaravano - da questo momento e mai più potremo avere fiducia in un potere irresponsabile davanti al popolo e chiediamo che il congresso panrusso... prenda il potere nelle sue mani, tanto nelle città quanto nelle campagne”.
Le masse popolari affidavano le loro migliori speranze al passaggio del potere ai soviet e lo dichiaravano apertamente nelle deliberazioni delle riunioni degli operai, dei soldati e dei contadini. Una risoluzione approvata nella provincia di Tambov diceva: “Siamo convinti che attorno ai soviet si organizzerà la democrazia rivoluzionaria, che metterà fine alla guerra fratricida, scatenata dalla borghesia mondiale. La terra sarà assegnata al popolo lavoratore, ai contadini-agricoltori senza riscatto”. Il menscevico F. I. Dan, a nome del Comitato Esecutivo Centrale uscente, aprì i lavori del II congresso panrusso dei soviet, ma subito la direzione del congresso passò ai bolscevichi, perché erano il gruppo più numeroso.
Nel nuovo presidium, formato sulla base della rappresentanza proporzionale, entrarono: Lenin, Antonov-Ovseenko, Kollontaj, Krylenko, Lunačarskij, Noghin e altri per i bolscevichi; Kamkov, Karelin, Spiridonova per i socialrivoluzionari di sinistra. I rappresentanti dei socialrivoluzionari di destra, dei menscevichi e del Bund rifiutarono la loro partecipazione, anzi ruppero subito con i bolscevichi, passando a difendere apertamente il governo provvisorio controrivoluzionario e definendo calunniosamente la Rivoluzione d’Ottobre un “putsch militare”. Abbandonarono il congresso e, unendosi ai cadetti, parteciparono alla creazione di un centro controrivoluzionario, il cosiddetto “Comitato per la salvezza della patria e della rivoluzione”. I delegati del congresso accompagnarono l’uscita dei leader opportunisti col grido di “Disertori! Traditori!”. La frazione bolscevica diede lettura di una risoluzione, nella quale si affermava che “la diserzione degli opportunisti non indebolisce i soviet ma li rafforza, in quanta ripulisce dalle scorie controrivoluzionarie la rivoluzione operaia e contadina”. A notte inoltrata giunsero alla seduta del congresso i partecipanti all’assalto del palazzo d’Inverno, portando la notizia della sua caduta e dell’arresto dei membri del governo provvisorio. Subito dopo il congresso adottò il proclama di Lenin Agli operai, ai soldati, ai contadini!, in cui si diceva: “Forte della volontà dell’immensa maggioranza degli operai, dei soldati e dei contadini, forte della vittoriosa insurrezione compiuta a Pietrogrado dagli operai e dalla guarnigione il congresso prende il potere nelle sue mani”. (V. I. Lenin: Agli operai, ai soldati e al contadini […]). Il documento proclamava inoltre il passaggio del potere locale ai soviet dei deputati operai, soldati e contadini, ai quali spettava garantire un ordine veramente rivoluzionario. Il congresso proclamò poi la Russia repubblica dei soviet e il potere sovietico unico potere legale nel paese. Il proclama conteneva il programma d’azione del potere sovietico: la proposta di una pace democratica a tutti i popoli e un armistizio immediato su tutti i fronti; il passaggio gratuito delle grandi proprietà fondiarie, delle terre demaniali e dei monasteri ai comitati contadini; l’instaurazione del controllo operaio sulla produzione; la garanzia a tutte le nazioni che popolavano la Russia del diritto effettivo all’autodeterminazione; una completa democratizzazione dell’esercito. Il congresso invitava i soldati a difendere la rivoluzione contro tutti gli attacchi dell’imperialismo, a essere vigilanti e fermi sino al momento in cui il nuovo governo sovietico non avesse concluso una pace democratica. La difesa dello Stato socialista dall’aggressione imperialistica diventava uno dei compiti principali del potere sovietico».19
19. Ibidem.