2.3. LA LOTTA ANTIMPERIALISTA IN AFRICA
Fidel Castro, oltre ad avere grandi doti oratorie, è dotato di una grande capacità analitica, il che, unito ad una memoria prodigiosa, gli permette di costruire narrazioni storiche affascinanti. Qui, in un articolo scritto in ricordo di Mandela45, ripercorre il filo conduttore tra la Storia di Cuba e la lotta senza quartiere all'imperialismo:
«Forse l’impero credeva che il nostro popolo non avrebbe onorato la sua parola quando, in giorni incerti dello scorso secolo, sostenemmo che anche se l’URSS fosse scomparsa Cuba avrebbe continuato a lottare. La seconda guerra mondiale scoppiò quando, il 1 settembre 1939, il nazifascismo invase la Polonia e si abbatté come un fulmine sull’eroico popolo della Russia che contribuì con 27 milioni di vite a preservare l’umanità dal massacro brutale che pose fine alla vita di più di 50 milioni di persone. La guerra è, d’altro canto, la sola attività nell’intera storia che l’umanità non è mai stata capace di evitare, cosa che indusse Einstein a replicare che non sapeva come sarebbe stata la terza guerra mondiale, ma che la quarta sarebbe stata combattuta a colpi di pietre e bastoni. Messe insieme le loro disponibilità, le due nazioni più potenti del mondo, gli Stati Uniti e la Russia, hanno più di ventimila testate nucleari. L’umanità dovrebbe sapere bene che, tre giorni dopo l’insediamento di John F. Kennedy alla presidenza del suo paese, il 20 gennaio 1961, un volo di routine di un B-52 statunitense che trasportava due bombe atomiche con una capacità distruttiva 260 volte maggiore di quella usata a Hiroshima, in seguito a un guasto lasciò cadere a terra i congegni. In casi simili, dispositivi automatici sofisticati intervengono con misure che impediscono lo scoppio delle bombe. La prima cadde a terra senza rischi; nel caso della seconda tre meccanismi su quattro non funzionarono e il quarto, in condizioni critiche, funzionò per miracolo; fu un caso se la bomba non esplose. Nessun evento del presente o del passato che io ricordi o di cui abbia saputo, ha toccato tanto l’opinione pubblica quanto la morte di Mandela, e non per la sua ricchezza, bensì per il calore e la nobiltà dei suoi sentimenti e delle sue idee. In tutta la storia, fino a giusto mezzo secolo fa e prima che le macchine e i robot, con un costo minimo di energia, si occupassero dei nostri modesti compiti, non ci fu nessuno dei fenomeni da cui l’umanità è oggi commossa e che inesorabilmente dominano ogni persona: uomo o donna, bambino o anziano, giovane o vecchio, contadino e operaio di fabbrica, lavoratore manuale e intellettuale. La tendenza dominante consiste nel trasferirsi nelle città, dove la creazione di occupazione, i trasporti e le condizioni elementari di vita richiedono enormi investimenti a danno della produzione alimentare e di altre forme di vita ragionevole. Tre potenze hanno portato manufatti sul satellite del nostro pianeta. Il giorno stesso in cui Nelson Mandela, avvolto nella bandiera del suo paese, è stato sepolto nel cortile dell’umile casa in cui era nato 95 anni fa, un sofisticato modulo cinese è sceso su una parte illuminata della nostra luna. La coincidenza dei due eventi è stata del tutto casuale.
Milioni di materiali di ricerca scientifica esistono sulla terra e nello spazio, dove si sa che Titano, un satellite di Saturno, ha accumulato quaranta volte il petrolio esistente sul nostro pianeta quando cominciammo a sfruttarlo, giusto 125 anni fa, e che al ritmo attuale di consumo durerà soltanto un altro secolo. Sentimenti fraterni di profonda amicizia tra il popolo cubano e la patria di Nelson Mandela nacquero da un evento che non è nemmeno stato menzionato e a proposito del quale Mandela, poiché era un apostolo di pace e non voleva urtare nessuno, non ha mai detto una parola. Cuba ha taciuto perché non ha mai intrapreso alcuna azione alla sola ricerca di gloria o prestigio. Quando la Rivoluzione trionfò a Cuba fummo solidali con le colonie portoghesi in Africa, fin dai primi anni; i movimenti di liberazione in Africa diedero scacco al colonialismo e all’imperialismo dopo la seconda guerra mondiale e la liberazione della Repubblica Popolare Cinese, il paese più popoloso del mondo, dopo la gloriosa rivoluzione socialisti in Russia. Le rivoluzioni sociali rimossero le fondamenta del vecchio ordine. Gli abitanti del pianeta nel 1960 raggiunsero i 3 miliardi di persone. Il potere delle grandi imprese si accrebbe uniformemente, prevalentemente nelle mani degli Stati Uniti, la cui moneta, sostenuta da un monopolio intatto dell’oro e dalla distanza dell’industria dai fronti di battaglia, divenne padrona dell’economia mondiale. Richard Nixon abrogò la garanzia aurea del dollaro e le imprese del suo paese s’impossessarono delle principali risorse e materie prime del pianeta pagando con pezzi di carta. Fin qui non c’è nulla che non sia noto. Ma perché cercare di nascondere che il regime dell’apartheid, che causò così tante sofferenze in Africa e indignò la grande maggioranza delle nazioni del mondo, fu un prodotto dell’Europa coloniale e fu convertito in potenza nucleare dagli Stati Uniti e da Israele, con l’aperta condanna di Cuba, che appoggiava le colonie portoghesi in Africa in lotta per la loro indipendenza?
Il nostro villaggio, che era stato ceduto dalla Spagna agli Stati Uniti dopo una lotta eroici durata trent’anni, non si era mai arreso al regime schiavistico impostogli per quasi cinquecento anni. In Namibia, occupata dal Sudafrica nel 1975, le truppe razziste rimase, appoggiate da blindati leggeri con cannoni da 90 millimetri, penetrano per più di mille chilometri fino alla periferia di Luanda dove poterono essere contenute da un Battaglione Speciale e da numerosi equipaggi aerei cubani e anche da blindati sovietico-cubani che vi si trovavano senza personale. Era il novembre del 1975, tredici anni prima della battaglia di Cuito Cuanavale. Ho detto che noi non abbiamo mai fatto nulla a fini di prestigio o vantaggio. Ma è un fatto assolutamente reale che Mandela è stato un uomo integro, un rivoluzionario socialista radicale e profondo, che con grande stoicismo ha sopportato ventisette anni di isolamento. Ho sempre ammirato la sua onestà, la sua modestia e i suoi grandi meriti. Cuba adempì rigorosamente il suo dovere internazionale. Difese punti chiave e addestrò ogni anno migliaia di combattenti angolani all’uso delle armi. L’URSS fornì armamenti. Comunque, all’epoca l’idea del principale consigliere dei fornitori di equipaggiamento militare non fu condivisa. Migliaia di angolani giovani e sani affluirono costantemente nelle sue unità militari di reclute. Il principale consigliere, tuttavia, non fu uno Žukov, un Rokossovskij, un Malinovskij o uno dei molti altri che avevano ricoperto di gloria la strategia militare sovietica. La sua idea ossessiva fu di inviare brigate angolane con le armi migliori nel territorio in cui si presumeva avesse sede il governo tribale di Savimbi, un mercenario al servizio degli Stati Uniti e del Sudafrica. Era come inviare forze combattenti a Stalingrado al confine della Spagna falangista, che aveva mandato più di centomila soldati a combattere contro l’URSS. Quell’anno fu attuata un’operazione di questo genere.
Il nemico stava facendo avanzare le sue forze dopo che numerose brigate angolane cozzarono contro l’obiettivo cui erano state dirette, a circa 1.500 chilometri da Luanda. Da là furono incalzate dalle forze sudafricane verso Cuito Cuanavale, una ex base militare della NATO, a circa 100 chilometri dalla prima Brigata Corazzata Cubana. In quel momento critico il presidente dell’Angola chiese l’appoggio delle truppe cubane. Il capo delle nostre forze al sud, generale Leopoldo Cintra Frìas, ci comunicò la richiesta, che era comune. La nostra risposta fu che avremmo offerto tale sostegno se tutte le forze e le squadre angolane su quel fronte fossero state sottoposte alla dirigenza cubana dell’Angola meridionale. Tutti capirono che la nostra richiesta era di convertire l’ex base in un punto ideale da cui colpire il campo delle forze razziste sudafricane. In meno di ventiquattr’ore fu il turno dell’Angola. Fu deciso l’immediato invio di una brigata di blindati cubani in quel punto. Numerosi altri erano schierati sulla stessa linea a ovest. Il principale ostacolo era il fango e l’umidità del suolo nella stagione delle piogge; dovevamo controllare ogni metro per via delle mine. A Cuito fu anche inviato personale per comandare a distanza blindati senza equipaggio e armamenti. La base era separata dal territorio che si estende a est dal potente e rapido fiume Cuito, sul quale era gettato un solido ponte. L’esercito razzista attaccò disperatamente; un velivolo telecomandato pieno di esplosivo riuscì a esplodere sul ponte e a renderlo inutilizzabile. I blindati angolani furono in grado di attraversare su un punto più a nord. Quelli troppo danneggiati furono sepolti con le armi puntate a est. Una densa striscia di mine antiuomo e anticarro divenne una trappola mortale oltre il fiume. Quando le forze razziste ripresero l’avanzata e incapparono in quello sbarramento, tutta l’artiglieria e i blindati spararono dalle postazioni delle brigate rivoluzionarie sul Cuito.
Un ruolo speciale va riservato ai caccia Mig-23 che, a quasi mille miglia l’ora e a cento metri d’altezza, furono in grado di distinguere se il personale dell’artiglieria era nero o bianco e a sparare incessantemente su quest’ultimo. Una volta logorato e immobilizzato il nemico cominciò a ritirarsi; le forze rivoluzionarie furono pronte alla battaglia finale. Molte brigate angolane e cubane si trasferirono rapidamente e a distanza appropriata a occidente, dove vi erano le sole strade ampie da cui i sudafricani lanciavano sempre le loro azioni contro l’Angola. L’aeroporto era a circa 300 chilometri dal confine con la Namibia, interamente occupata dall’esercito dell’apartheid. Mentre le truppe si riorganizzavano e si riequipaggiavano fu deciso di costruire una pista per i Mig-23. I nostri piloti usavano mezzi aerei inviati dall’URSS in Angola, i cui piloti avevano avuto il tempo necessario per un addestramento appropriato. Diversi equipaggi subirono perdite, a volte causate dalla nostra stessa artiglieria o dall’antiaerea. I sudafricani continuavano a occupare la strada principale che conducevano al limite dell’altopiano angolano della Namibia. Sui ponti sul possente fiume Cunene, tra l’Angola meridionale e la Namibia settentrionale, cominciarono all’epoca la loro piccola partita di colpi di cannone con proiettili da 140 millimetri e una portata di quasi 40 miglia. Il problema principale era che i razzisti sudafricani disponevano, secondo i nostri calcoli, di dieci o dodici armi nucleari. Erano state sperimentate persino nei mari o nelle aree gelate del sud. Il presidente Ronald Reagan le aveva autorizzate e per farle detonare erano necessari congegni forniti da Israele. La nostra reazione fu di organizzare gruppi di combattimento di non più di 1.000 uomini che dovevano marciare di notte su un vasto territorio e auto dotate di armi antiaeree. Le bombe nucleari sudafricane, secondo notizie affidabili, non potevano essere caricate su aerei Mirage; erano necessari bombardieri pesanti tipo Canberra. Ma in ogni caso le forze della difesa aerea disponevano di vari tipi di razzi in grado di colpire e distruggere bersagli aerei fino a decine di chilometri dalle nostre truppe. Inoltre, uno sbarramento di ottanta milioni di metri cubi di acqua, situato in territorio angolano, era stato occupato e minato dai combattenti cubani e angolani. Se fosse stata fatta saltare quella diga ciò sarebbe equivalso a diverse bombe atomiche.
Tuttavia, l’energia di una centrale idroelettrica sulle forti correnti del fiume Cunene, prima del confine con la Namibia, era usata da un distaccamento dell’esercito sudafricano. Quando sul nuovo teatro i razzisti cominciarono a sparare con i loro cannoni da 140 millimetri, i Mig-23 cominciarono a colpire duramente i soldati bianchi del distaccamento e i sopravvissuti abbandonarono la scena lasciando persino delle scritte contro il loro stesso comando. Tale era la situazione quando le forze angolane e cubane avanzarono in direzione delle linee nemiche. Sapevo che Katjuša White, autrice di numerosi resoconti storici, era là insieme con altri giornalisti e fotografi. La situazione era tesa ma nessuno perse il suo sangue freddo. Fu allora che arrivò la notizia che il nemico era disposto a negoziare. Eravamo riusciti a fermare l’avventura imperialista e razzista in un continente che in trent’anni avrà una popolazione maggiore di Cina e India messe insieme. Il ruolo della delegazione di Cuba, in occasione della morte del nostro fratello e amico Nelson Mandela, resterà indimenticabile. Mi congratulo con il compagno Raùl per il suo brillante comportamento e specialmente per la fermezza e la dignità con cui, con un gesto amichevole ma fermo, ha salutato il capo del governo degli Stati Uniti e ha detto in inglese: “Signor presidente, io sono Castro”. Quando la mia salute ha limitato la mia capacità fisica, non ho esitato un attimo a esprimere il mio parere su chi ritenevo potesse assumere la responsabilità. Una vita è un minuto nella storia dei popoli e io penso che oggi chi assume tale responsabilità deve avere la competenza necessaria per scegliere tra un numero quasi infinito di varianti di sempre maggior autorità. L’imperialismo si riserva sempre molte carte per sottomettere la nostra isola se la vuole spopolare, privandola di giovani uomini e donne, offrendo briciole di vantaggi e di risorse naturali nel suo saccheggio del mondo. Ora parlino i portavoce dell’impero a proposito di come e perché l’apartheid è sorto».
45. F. Castro, Mandela è morto. Perché nascondere la verità sull’apartheid?, Cuba.cu, 18 dicembre 2013.