2.3. IL NAZISMO COME DEGENERAZIONE COLONIALE DELL'IDEOLOGIA LIBERALE
«Nella letteratura marxista degli anni Trenta e Quaranta troviamo più di un'analisi. Una è quella che hai appena ricordato, e cioè che il nazismo fu l'estrema difesa del capitalismo. Un'altra risaliva al Marx del “Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte”, che sottolinea, nel quadro di un esame del bonapartismo, il potenziale autoritario del liberalismo. Su questa traccia, negli anni Trenta e Quaranta numerosi storici marxisti videro nel nazismo non soltanto un'autodifesa del capitalismo - insomma lo stadio finale del capitalismo moderno - ma anche una conseguenza del liberalismo, il quale, come Marx aveva visto, conteneva in sé questo elemento bonapartistico. Fu specialmente Herbert Marcuse ad approfondire questa linea interpretativa». (George L. Mosse)14A recuperare il tema del nazismo come conseguenza del liberalismo è stato Domenico Losurdo, con una serie di lavori storico-filosofici di ampio raggio come Il peccato originale del Novecento e il fondamentale Controstoria del liberalismo. La retorica sulla “liberazione” dell’Europa da parte degli USA, paladini di una “guerra buona” contro la “barbarie nazifascista”, oltre a distogliere l’attenzione dalle vere cause della seconda guerra mondiale, oscura il ruolo notevole che i movimenti reazionari e razzisti statunitensi hanno svolto nell’ispirare e alimentare in Germania il corso politico da ultimo conclusosi con il trionfo di Hitler. Già negli anni Venti, tra il Ku Klux Klan e i circoli tedeschi di estrema destra si stabiliscono rapporti di scambio e di collaborazione all’insegna del razzismo anti-nero e antiebraico. Negli Stati Uniti della white supremacy così come nella Germania in cui prende sempre più piede il movimento sfociato poi nel nazismo, il programma di ristabilimento delle gerarchie razziali si salda strettamente col progetto eugenetico. Si tratta in primo luogo d’incoraggiare la procreazione dei migliori, in modo da sventare il pericolo di «suicidio razziale» e, altresì, di scavare un abisso incolmabile tra razza dei servi e razza dei signori, depurando quest’ultima degli elementi di scarto e mettendola in condizione di affrontare e stroncare la «rivolta servile» che, sull’onda della Rivoluzione Russa, si sta delineando a livello planetario. Ancora nel 1937 l’influente teorico nazista Alfred Rosenberg celebra gli Stati Uniti come uno «splendido paese del futuro»: esso ha avuto il merito di formulare la felice «nuova idea di uno Stato razziale». Basta dare uno sguardo alla legislazione interna varata subito dopo l’avvento del Terzo Reich, per rendersi conto delle analogie con la situazione esistente nel Sud degli Stati Uniti. D’altro canto, è anche per un’altra ragione che la repubblica d’oltre Atlantico costituisce un motivo d’ispirazione per il Terzo Reich: la Germania è chiamata a espandersi in Europa orientale come in una sorta di Far West, trattando gli «indigeni» alla stregua dei pellerossa e senza mai perdere di vista il modello americano, di cui il Führer celebra «l’inaudita forza interiore».
L’analisi di Losurdo, inoltre, sottolinea un fatto volentieri tralasciato dagli apologeti del «modello americano»: la democrazia nell’ambito della comunità bianca si è sviluppata contemporaneamente ai rapporti di schiavizzazione dei neri e di deportazione degli indios. Per 32 dei primi 36 anni di vita degli USA, a detenere la presidenza sono proprietari di schiavi, e proprietari di schiavi sono anche coloro che elaborano la Dichiarazione di Indipendenza e la Costituzione. Senza la schiavitù (e la successiva segregazione razziale) non si può comprendere nulla della «libertà americana»: esse crescono assieme, l’una sostenendo l’altra. Se la peculiar institution (la schiavitù) assicura il ferreo controllo delle classi «pericolose» già sui luoghi di produzione, la mobile frontiera e la progressiva espansione a Ovest disinnescano il conflitto sociale trasformando un potenziale proletariato in una classe di proprietari terrieri, a spese però di popolazioni condannate a essere rimosse o spazzate via. È in riferimento a questo lato oscuro della storia americana che autorevoli studiosi statunitensi hanno parlato di Herrenvolk democracy, cioè di democrazia che vale solo per il «popolo dei signori» (per usare il linguaggio caro poi a Hitler). Dobbiamo allora contrapporre positivamente l’Europa agli Stati Uniti? Al contrario, la categoria di Herrenvolk democracy può essere utile anche per spiegare la storia dell’Occidente nel suo complesso. Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, l’estensione del suffragio in Europa va di pari passo col processo di colonizzazione e con l’imposizione di rapporti di lavoro servili o semiservili alle popolazioni assoggettate; il governo della legge (peraltro sempre sospendibile in caso di «emergenza», ovverosia quando il proletariato agisce come soggetto storico) nella metropoli s’intreccia strettamente con la violenza e l’arbitrio burocratico-poliziesco e con lo stato d’assedio nelle colonie. La conclusione di Losurdo è che un vero liberalismo universale si può avere solo nell'orizzonte del socialismo.15
14. G. L. Mosse, Intervista sul nazismo, a cura di Michael A. Leeden, Laterza, Roma-Bari 1977, in un estratto disponibile su Marx-karl.com.
15. Per la presentazione, che vale solo come spunto per un maggiore approfondimento, si è usato Le origini americane (e colonialiste) dell’ideologia nazista, Infonodo.org.