2.14. LE CAUSE DELL'INTERVENTO IMPERIALISTA E DELLA SUA SCONFITTA
Per un bilancio e per capire le ragioni dell'intervento straniero:
«I due anni e mezzo di intervento sanguinoso e di guerra civile furono responsabili della morte (in battaglia, per fame o epidemie) di sette milioni di russi tra uomini, donne e bambini. Le perdite materiali furono poi calcolate dal governo sovietico in sessanta milioni di dollari; una somma che superava di molto il debito contratto dallo zar con gli Alleati. Gli invasori non pagarono riparazioni di sorta. Poche cifre ufficiali furono date sul costo della guerra contro la Russia. Secondo il memorandum pubblicato da Winston Churchill il 15 settembre 1919, la Gran Bretagna, fino a quel giorno, aveva speso circa cento milioni di sterline e la Francia dai trenta ai quaranta milioni di sterline soltanto per sostenere il generale Denikin. La campagna britannica nel nord era costata diciotto milioni di sterline. I giapponesi ammisero di aver speso novecento milioni di yen per le loro truppe in Siberia. Quali furono i motivi dietro questa inutile e costosa guerra non dichiarata? I generali bianchi combattevano in buona fede per la restaurazione della loro Grande Russia, per le loro proprietà fondiarie, per i loro profitti, i loro privilegi di classe e le loro spalline. C'erano tra loro alcuni nazionalisti sinceri, ma gli eserciti bianchi erano dominati soprattutto da reazionari, che erano i prototipi degli ufficiali fascisti e dagli avventurieri che più tardi avrebbero fatto la loro comparsa nell'Europa centrale. I motivi della guerra degli Alleati in Russia erano meno chiari. L'intervento era stato presentato al mondo dai portavoce alleati, nei limiti in cui i motivi ne furono resi pubblici, come una crociata politica contro il bolscevismo. Il realtà l'“antibolscevismo” era soltanto un alibi e altri fattori avevano un peso assai maggiore: come il legname della Russia settentrionale, il carbone del Donec, l'oro della Siberia e il petrolio del Caucaso. C'entravano anche interessi di più vasta portata, come il piano britannico di costituire una federazione transcaucasica per separare l'India dalla Russia e consegnare ai britannici il dominio esclusivo dei pozzi petroliferi del vicino Oriente; il piano giapponese di conquistare e colonizzare la Siberia; il piano francese di assicurarsi il controllo nelle zone del Donec e del Mar Nero; e gli ambiziosi e lungimiranti piani tedeschi di impossessarsi degli stati baltici e dell'Ucraina. Uno dei primi atti del governo bolscevico al momento della presa di potere fu la nazionalizzazione dei monopoli economici dell'impero zarista. Miniere, mulini, fabbriche, ferrovie, pozzi di petrolio e le altre grandi imprese economiche furono dichiarati proprietà del popolo sovietico. Il governò sovietico ripudiò anche il debito estero contratto dal regime zarista, anche perché i capitali erano stati concessi deliberatamente per aiutare lo zarismo a reprimere la rivoluzione popolare. Nonostante la sua esibizione di ricchezza e potere, l'impero zarista era in realtà una semi-colonia degli interessi finanziari anglo-francesi e tedeschi. Gli investimenti finanziari francesi nello zarismo ammontavano a diciassette miliardi e 591 milioni di franchi. Gli interessi anglo-francesi controllavano non meno del 72% del carbone, del ferro e dell'acciaio e il 50% del petrolio della Russia. Centinaia di milioni di franchi e sterline erano estratti ogni anno dal lavoro dei proletari e contadini russi dagli interessi stranieri alleati con lo zar.
«I due anni e mezzo di intervento sanguinoso e di guerra civile furono responsabili della morte (in battaglia, per fame o epidemie) di sette milioni di russi tra uomini, donne e bambini. Le perdite materiali furono poi calcolate dal governo sovietico in sessanta milioni di dollari; una somma che superava di molto il debito contratto dallo zar con gli Alleati. Gli invasori non pagarono riparazioni di sorta. Poche cifre ufficiali furono date sul costo della guerra contro la Russia. Secondo il memorandum pubblicato da Winston Churchill il 15 settembre 1919, la Gran Bretagna, fino a quel giorno, aveva speso circa cento milioni di sterline e la Francia dai trenta ai quaranta milioni di sterline soltanto per sostenere il generale Denikin. La campagna britannica nel nord era costata diciotto milioni di sterline. I giapponesi ammisero di aver speso novecento milioni di yen per le loro truppe in Siberia. Quali furono i motivi dietro questa inutile e costosa guerra non dichiarata? I generali bianchi combattevano in buona fede per la restaurazione della loro Grande Russia, per le loro proprietà fondiarie, per i loro profitti, i loro privilegi di classe e le loro spalline. C'erano tra loro alcuni nazionalisti sinceri, ma gli eserciti bianchi erano dominati soprattutto da reazionari, che erano i prototipi degli ufficiali fascisti e dagli avventurieri che più tardi avrebbero fatto la loro comparsa nell'Europa centrale. I motivi della guerra degli Alleati in Russia erano meno chiari. L'intervento era stato presentato al mondo dai portavoce alleati, nei limiti in cui i motivi ne furono resi pubblici, come una crociata politica contro il bolscevismo. Il realtà l'“antibolscevismo” era soltanto un alibi e altri fattori avevano un peso assai maggiore: come il legname della Russia settentrionale, il carbone del Donec, l'oro della Siberia e il petrolio del Caucaso. C'entravano anche interessi di più vasta portata, come il piano britannico di costituire una federazione transcaucasica per separare l'India dalla Russia e consegnare ai britannici il dominio esclusivo dei pozzi petroliferi del vicino Oriente; il piano giapponese di conquistare e colonizzare la Siberia; il piano francese di assicurarsi il controllo nelle zone del Donec e del Mar Nero; e gli ambiziosi e lungimiranti piani tedeschi di impossessarsi degli stati baltici e dell'Ucraina. Uno dei primi atti del governo bolscevico al momento della presa di potere fu la nazionalizzazione dei monopoli economici dell'impero zarista. Miniere, mulini, fabbriche, ferrovie, pozzi di petrolio e le altre grandi imprese economiche furono dichiarati proprietà del popolo sovietico. Il governò sovietico ripudiò anche il debito estero contratto dal regime zarista, anche perché i capitali erano stati concessi deliberatamente per aiutare lo zarismo a reprimere la rivoluzione popolare. Nonostante la sua esibizione di ricchezza e potere, l'impero zarista era in realtà una semi-colonia degli interessi finanziari anglo-francesi e tedeschi. Gli investimenti finanziari francesi nello zarismo ammontavano a diciassette miliardi e 591 milioni di franchi. Gli interessi anglo-francesi controllavano non meno del 72% del carbone, del ferro e dell'acciaio e il 50% del petrolio della Russia. Centinaia di milioni di franchi e sterline erano estratti ogni anno dal lavoro dei proletari e contadini russi dagli interessi stranieri alleati con lo zar.
Un membro del Parlamento britannico, il tenente colonnello Cecil L'Estrange Malone, così si esprimeva alla Camera dei Comuni nel 1920, durante un vivace dibattito sulla politica alleata in Russia: “Ci sono gruppi e individui nel nostro paese che hanno denaro e azioni in Russia, e questa è la gente che sta lavorando e intrigando per rovesciare il regime bolscevico. […] Ai tempi del vecchio regime era possibile partecipare in ragione del dieci o venti per cento allo sfruttamento degli operai e dei contadini russi, ma in regime socialista non si otterrà praticamente nulla, e noi constatiamo che ogni interesse nel nostro paese è in un modo o nell'altro legato con la Russia sovietica.”
[…] Tra gli statunitensi colui che aveva un'importanza maggiore e un interesse più diretto alla guerra in Russia era Herbert Hoover, futuro presidente degli Stati Uniti e allora Commissario all'Alimentazione. Già ingegnere minerario impiegato da ditte britanniche, prima della guerra Hoover aveva cospicui investimenti nelle miniere e nei pozzi petroliferi russi. Il corrotto regime zarista pullulava di alti funzionari e di aristocratici terrieri pronti a barattare le ricchezze del loro paese e la sua forza-lavoro con “compensi” stranieri o con una parte del bottino. Hoover si era interessato del petrolio russo sin dal 1909, quando erano stati aperti i primi pozzi a Maikop. In un anno si era assicurato partecipazioni in non meno di undici compagnie petrolifere russe […]. Dopo la Rivoluzione bolscevica tutte le concessioni in cui Hoover era stato un tempo associato furono abrogate e le miniere confiscate dal governo sovietico. “Il bolscevismo”, disse Herbert Hoover alla Conferenza della pace di Parigi, “è peggiore della guerra!” Egli rimase infatti uno dei nemici più accaniti del governo sovietico per il resto della sua vita. È un fatto che, qualunque possa essere stato il movente personale, sotto il suo controllo i rifornimenti statunitensi sostennero i russi bianchi e alimentarono le truppe d'assalto dei regimi più reazionari d'Europa, impegnati a respingere l'ondata democratica dopo la prima guerra mondiale. Così l'aiuto degli Stati Uniti divenne un'arma diretta contro i movimenti popolari in Europa.
“La sostanza della politica degli Stati Uniti durante la liquidazione dell'armistizio fu di dare il massimo contributo per impedire che l'Europa diventasse bolscevica o fosse sopraffatta dai loro eserciti”, dichiarò più tardi Hoover in una lettera a Oswald Garrison Villard del 17 agosto 1921. La sua definizione del “bolscevismo” coincideva con quella di Foch, Pétain, Knox, Reilly e Tanaka. Come Segretario del Commercio, come presidente degli Stati Uniti e successivamente come leader dell'ala isolazionistica del partito repubblicano, Hoover si batté instancabilmente per impedire che venissero stabiliti rapporti amichevoli, commerciali e diplomatici tra gli Stati Uniti e il suo più potente alleato contro il fascismo mondiale: l'Unione Sovietica. L'intervento armato fallì in Russia non soltanto grazie alla solidarietà e all'eroismo senza precedenti dei popoli sovietici, i quali combattevano per difendere la libertà appena conquistata, ma anche grazie al valido appoggio dato alla giovane repubblica sovietica dai popoli democratici di tutto il mondo. In Francia, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti l'opinione pubblica si era sollevata e vigorosamente opposta all'invio di uomini, di armi, viveri e danari agli eserciti antisovietici in Russia. “Giù le mani dalla Russia!”: era la parola d'ordine dei comitati che s'andavano costituendo. I lavoratori scioperavano e i soldati si ribellavano contro la politica d'intervento degli stati maggiori. Statisti democratici, giornalisti, insegnanti e numerosi uomini d'affari protestavano contro l'attacco non dichiarato e non provocato contro la Russia Sovietica. Sir Henry Wilson, capo di stato maggiore britannico, ammise francamente la mancanza di appoggio da parte dell'opinione pubblica alla politica d'intervento. Il 10 dicembre 1919, nel libro azzurro ufficiale britannico, il capo di stato maggiore scriveva: “Le difficoltà dell'Intesa nel formulare una politica russa si sono rivelate davvero insormontabili, poiché in nessun paese alleato vi è stato un sufficiente peso dell'opinione pubblica per giustificare l'intervento armato contro i bolscevichi su scala decisiva, con l'inevitabile risultato che le operazioni militari hanno mancato di coesione e di uno scopo ben definito.”
La vittoria dell'Armata Rossa sui nemici rappresentava così in pari tempo una vittoria internazionale dei popoli democratici di tutti i paesi. Un'ultima ragione del fallimento dell'intervento fu la mancanza di unità tra gli invasori. Gli istigatori dell'intervento rappresentavano una coalizione della reazione mondiale, ma era una coalizione cui faceva difetto la sincera intenzione di cooperare. Le rivalità imperialistiche spezzarono il blocco imperialistico. I britannici temevano le mire francesi sul Mar Nero e quelle tedesche sulla zona baltica. Gli statunitensi ritenevano di dover frustrare le mire giapponesi in Siberia. I generali bianchi litigavano fra loro per il bottino. La guerra d'intervento, cominciata nel segreto e nella disonestà, finì in un vergognoso disastro. Il suo retaggio di odio e malafede doveva avvelenare l'atmosfera dell'Europa per il successivo quarto di secolo».40
40. Ivi, cap. 6, paragrafo 7 – Un bilancio.