21 Novembre 2024

2.13. L'INVASIONE PER DISTRUGGERE LA RIVOLUZIONE

Chiudiamo con questa rassegna da Sayers e Kahn con questo ultimo capitolo in cui si danno alcune informazioni aggiuntive sulle modalità dell'intervento delle potenze capitaliste:
«Nell'estate del 1919, senza dichiarazione di guerra, le forze armate di quattordici stati invadevano il territorio della Russia sovietica. Questi stati erano: Gran Bretagna, Serbia, Francia, Cina, Giappone, Finlandia, Germania, Grecia, Italia, Polonia, Stati Uniti, Romania, Cecoslovacchia, Turchia. […] Erano forse [gli Alleati] in guerra contro la Russia? Certamente no. Ma facevano fuoco a bruciapelo contro i russi sovietici. Avevano invaso il suolo russo. Armavano i nemici del governo sovietico. Bloccavano i suoi porti e affondavano le sue navi. Ne auspicavano e preparavano seriamente la caduta. Ma la guerra, orrore! L'intervento, vergogna! Per essi, asserivano, era completamente indifferente il modo in cui i russi sistemavano i loro affari. Erano imparziali – bum! […] Assediata da ogni parte dagli invasori stranieri, minacciata da infinite cospirazioni al suo interno, l'Armata Rossa si ritirava lentamente attraverso il paese, combattendo senza tregua. Il territorio controllato da Mosca era ridotto a un sedicesimo della superficie totale della Russia. Era un'isola sovietica in un mare antisovietico».36
Un intervento difficile però da giustificare agli stessi soldati, anche per le modalità brutali che erano già in corso:
«All'inizio del 1919 le forze britanniche ad Archangel'sk e Murmansk raggiunsero le 18.400 unità. Combattevano fianco a fianco con loro 5.100 americani, 1.800 francesi, 1.200 italiani, mille serbi e circa ventimila russi bianchi. Descrivendo Archangel'sk in quel periodo, il capitano delle forze di spedizione statunitensi John Cudahy scrisse nel suo libro, Archangel: The American War Against Russia, che “erano tutti ufficiali”. C'erano, racconta Cudahy, innumerevoli ufficiali zaristi “appesantiti dalle loro medaglie poderose e luccicanti; ufficiali cosacchi con alti cappelli grigi, tuniche fastose e sciabole tintinnanti; ufficiali britannici da Eton e Harrow; soldati francesi con magnifici cappelli a punta e stivali scintillanti, ufficiali serbi, italiani e francesi...” “E, ovviamente,” notò Cudahy, “c'era un gran numero di attendenti per lustrare gli stivali, brunire gli speroni e tenere tutto bene in ordine, e altri attendenti che si occupavano delle nomine al club degli ufficiali e servivano il whisky con soda”. Lo stile di vita sofisticato di questi ufficiali contrastava violentemente con il modo in cui combattevano. “Abbiamo usato le bombe a gas sui bolscevichi,” scrisse Ralph Albertson, ufficiale del YMCA che si trovava in Russia nel 1919, nel suo libro Fighting Without a War. “Quando evacuammo il villaggio, sistemammo tutte le trappole esplosive che ci venivano in mente. Una volta sparammo a più di trenta prigionieri. […] E quando catturammo il Commissario di Borok, un sergente mi ha detto di aver lasciato il suo corpo sulla strada, nudo, con sedici colpi di baionetta addosso. Prendemmo Borok di sorpresa, e il Commissario, un civile, non ebbe il tempo di armarsi. […] Sentii un ufficiale dire ripetutamente ai suoi di non fare prigionieri, di ucciderli tutti anche se fossero disarmati. […] Li vidi sparare a sangue freddo a un prigioniero bolscevico disarmato, che non stava dando nessun problema. Notte dopo notte le squadre d'assalto facevano la loro infornata di vittime”. I soldati alleati di basso rango non capivano la campagna antisovietica. Si chiedevano perché stessero ancora combattendo in Russia se la guerra era finita. Fu difficile per i comandi alleati dare delle risposte. “All'inizio non fu ritenuto necessario”, annotò Cudahy. “Poi lo Stato Maggiore si ricordò dell'importanza del morale […] e diffuse delle dichiarazioni che confusero i soldati più di un lungo periodo di silenzio”. Uno dei proclami del Comando Generale Britannico nella Russia del nord, che fu letto alle truppe statunitensi, iniziava con queste parole: “Sembra esserci fra le truppe un'idea molto indistinta del motivo per cui stiamo combattendo nella Russia settentrionale. Può essere spiegato in poche parole. Siamo qui contro i bolscevichi, che sono anarchia pura e semplice. Guardate alla Russia in questo momento. Il potere è nelle mani di pochi uomini, quasi tutti ebrei.
Il morale delle truppe si logorava sempre più. Violente discussioni tra i britannici, i francesi e i russi bianchi si fecero sempre più frequenti. Iniziarono gli ammutinamenti. […] Negli Stati Uniti cresceva la richiesta che i soldati fossero ritirati dalla Russia. L'incessante macchina di propaganda contro i bolscevichi non riuscì a silenziare le voci di mogli e genitori che non capivano perché, a guerra finita, i loro mariti e figli fossero ancora impegnati in una solitaria, inconcludente e misteriosa campagna nella Siberia selvaggia e nel gelo di Murmansk e Archangel'sk. Per tutta l'estate e l'autunno del 1919, delegazioni provenienti da ogni parte degli Stati Uniti arrivarono a Washington per incontrare i membri della Camera dei deputati e chiedere che i soldati in Russia fossero riportati a casa. La loro richiesta trovò eco al Congresso. Il 5 settembre 1919, il senatore Borah così si espresse:
Signor presidente, non siamo in guerra con la Russia; il Congresso non ha dichiarato guerra al governo russo o al popolo russo. Il popolo degli Stati Uniti non desidera essere in guerra con la Russia. […] E tuttavia, pur non essendo in guerra con la Russia, mentre il Congresso non ha fatto nessuna dichiarazione di guerra, noi combattiamo contro il popolo russo. Abbiamo un esercito in Russia; riforniamo di munizioni e di materiale altre forze armate in quel paese e siamo impegnati in un conflitto come se si fosse fatto appello ad un'autorità costituita, come se si fosse fatta una dichiarazione di guerra e la nazione fosse stata mobilitata per questo scopo. [...] Non esiste nessuna giustificazione né legale né morale per sacrificare queste vite umane. E una violazione dei principi elementari del libero governo.
I britannici e i francesi erano d'accordo con la disapprovazione del popolo statunitense per la guerra contro la Russia sovietica. Ciononostante, la guerra non dichiarata contro la Russia continuò».37

Manifesto attaccato dai britannici durante l'intervento militare in Russia. Il testo è tradotto da Wikipedia così: “My Russian friends! I, an Englishman, in the name of our Allied cause, ask you to endure for some more time, courageous as you've always been. I have delivered and will deliver infinitely everything you need; what is more, I will deliver you new weapons to exterminate those repulsive bloodthirsty Red monsters”.38
La guerra civile fomentata dall'imperialismo terminò con la cattura in Oriente di Ungern von Sternberg, di cui offriamo qui gli atti processuali:

«In accordo con la delibera della Commissione Rivoluzionaria Siberiana del 12 settembre 1921, il luogotenente generale barone Ungern von Sternberg, già comandante della divisione di cavalleria orientale, è imputato di fronte alla Corte Rivoluzionaria Siberiana delle seguenti accuse:
1. di essersi prestato ai progetti espansionisti del Giappone attraverso i suoi tentativi di creare uno stato asiatico e di rovesciare il governo della Transbaikalia;
2. di aver progettato di rovesciare l'autorità sovietica con l'obiettivo di restaurare la monarchia in Siberia e l'intenzione finale di innalzare Michail Romanov al trono;
3. di aver brutalmente assassinato un gran numero di contadini e lavoratori russi e di rivoluzionari cinesi.
Ungern non tentò di negare le atrocità. Esecuzioni, torture e massacri erano veri. La sua spiegazione era semplice: “Era la guerra!” Ma un fantoccio dei giapponesi? “La mia idea,” spiegò il barone, “era di usare il Giappone”. Ungern negò ogni tradimento o rapporto segreto con i giapponesi. “L'imputato sta mentendo,” disse l'accusatore sovietico Jaroslavskij, “se dichiara di non aver mai avuto alcun rapporto con il Giappone. Abbiamo prove del contrario!” “Ho avuto contatti con i giapponesi,” ammise Ungern, “proprio come li ho avuti con Zhang Zuoling. […] Anche Gengis Khan fece visita a Van Khan prima di conquistare il suo regno!” “Non siamo nel dodicesimo secolo,” rispose l'accusatore, “e non siamo qui per giudicare Gengis Khan”. “Per mille anni,” gridò il barone, “gli Ungern hanno dato ordini agli altri, non ne hanno presi!” Fissava altezzosamente i soldati, i contadini e i lavoratori che affollavano a testa alta il tribunale. “Mi rifiuto di riconoscere l'autorità dei lavoratori! Come fa a parlare di governo un uomo che non ha nemmeno un servo? È incapace di dare ordini!” L'accusatore Jaloslavskij lesse il lungo elenco dei crimini di Ungerg: le spedizioni punitive contro gli ebrei e i contadini filo-sovietici, le amputazioni di braccia e gambe, le cavalcate notturne nella steppa con i cadaveri in fiamme usati come torce, la cancellazione di villaggi, i massacri spietati di bambini... “Per i miei gusti,” spiegò freddamente Ungern, “c'erano troppi rossi”. “Perché ha lasciato Urga?” chiese l'accusatore. “Avevo deciso di invadere la Transbaikalia e convincere i contadini a rivoltarsi, ma sono stato fatto prigioniero”. “Da chi?” “Dei mongoli mi hanno tradito”. “Si è mai chiesto perché si sono comportati così?” “Sono stato tradito!” “Ammette che il fine della sua campagna era lo stesso di tutti gli attentati che recentemente sono stati fatti contro l'autorità dei lavoratori? Non è d'accordo che, tra tutti quei tentativi che avevano il suo stesso fine, il suo era l'ultimo?” “Sì,” rispose il barone Ungern, “il mio era l'ultimo tentativo. Suppongo di essere l'ultimo sopravvissuto”.
Nel settembre del 1921 il verdetto della corte sovietica fu emesso. Il barone Roman von Ungern-Sternberg, l'“ultimo sopravvissuto” tra i signori della guerra bianchi, venne fucilato da un plotone dell'Armata Rossa. Semenov e i resti dell'esercito fantoccio fuggirono in Mongolia e poi in Cina. Passò un altro anno prima che il suolo sovietico fosse definitivamente liberato dai giapponesi. Il 19 ottobre 1922 l'Armata Rossa entrò a Vladivostok. I giapponesi che occupavano la città si arresero e consegnarono tutte le dotazioni militari. I trasportatori con gli ultimi soldati giapponesi lasciarono Vladivostok il giorno seguente. La bandiera rossa fu alzata sulla città. “La decisione di evacuare,” annunciò il Ministero degli Esteri giapponese, “ha l'obiettivo di presentare il Giappone come un paese non aggressivo e che si impegna per mantenere la pace nel mondo”».39
36. Ivi, cap. 6, paragrafo 1 – Preludio.
37. Ivi, cap. 6, paragrafo 2 – La campagna nel nord.
38. Traduzione: «Miei amici russi! Io, un inglese, nel nome della nostra causa Alleata, vi chiedo di sopportare ancora un po' di tempo, coraggiosi come siete sempre stati. Ho consegnato e consegnerò infinitamente tutto ciò di cui avete bisogno; inoltre, vi consegnerò nuove armi per sterminare quei repellenti mostri Rossi sanguinari». Vd: https://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Allied_Intervention_in_the_Civil_war_of_Russia?uselang=it#/media/File:BritishInterventionPoster.jpg. Altro materiale visivo sull'intervento “alleato” su https://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Allied_Intervention_in_the_Civil_war_of_Russia?uselang=it.
39. Ivi, cap. 6, paragrafo 6 – L'ultimo sopravvissuto.

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