21 Novembre 2024

2.9. L'OMAGGIO DI FIDEL CASTRO A ERNESTO "CHE" GUEVARA

Di seguito l'eccezionale discorso pronunciato da Fidel Castro71 durante la veglia solenne in memoria del comandante Ernesto Che Guevara in Plaza de la Revolución il 18 ottobre 1967. Uno dei discorsi più toccanti ed emozionanti dell'intero Novecento.
«Compagne e compagni rivoluzionari, conobbi il Che un giorno di luglio o agosto del 1955. E una sera - come lui stesso racconta nei suoi testi - si impegnò nella spedizione del “Granma”. Ma in quel momento non possedevamo né barca né armi né truppe. Fu così che, assieme a Raúl, il Che si unì al primo dei due gruppi della lista del “Granma”. Da allora sono trascorsi dodici anni; sono stati dodici anni carichi di lotta e di storia. Durante questi anni la morte ha mietuto molte vite coraggiose e insostituibili; ma, allo stesso tempo, durante questi anni della nostra Rivoluzione sono sorte persone straordinarie; e tra gli uomini della Rivoluzione, e tra questi uomini e il popolo, si sono stabiliti legami di affetto e legami di amicizia che vanno al di là di ogni possibile espressione. Questa notte ci siamo riuniti, voi e noi, per cercare di esprimere in qualche modo questi sentimenti nei confronti di colui che fu uno dei più familiari, uno dei più ammirati, uno dei più amati e, senza alcun dubbio, il più straordinario dei nostri compagni di rivoluzione; esprimere questi sentimenti a lui e agli eroi che hanno combattuto con lui, agli eroi che hanno combattuto con lui, agli eroi che con lui sono caduti nell'esercito internazionalista, che hanno scritto una pagina gloriosa e incancellabile della storia. Il Che era una persona a cui tutti si affezionavano immediatamente per la sua semplicità, il suo carattere, la sua naturalezza, il suo cameratismo, la sua personalità, la sua originalità, senza conoscere le altre virtù singolari che lo caratterizzavano. In quei primi momenti era il medico della nostra truppa. E così si andarono formando i legami, e così si andarono formando i sentimenti. Lo si vedeva impregnato di un profondo spirito d'odio e disprezzo verso l'imperialismo, non solo perché la sua formazione politica aveva raggiunto un considerevole grado di maturità, ma perché pochissimo tempo prima aveva avuto l'opportunità di presenziare in Guatemala al criminale intervento imperialista dei soldati mercenari che avevano represso la rivoluzione di quel paese. Un uomo come lui non aveva bisogno di molti argomenti. Gli era sufficiente sapere che Cuba versava in una situazione difficile, gli bastava sapere che vi erano uomini decisi a combattere questa situazione armi alla mano, gli bastava sapere che quegli uomini si ispiravano a sentimenti puramente rivoluzionari e patriottici. E ciò era più che sufficiente.
Così, un giorno, alla fine del novembre 1956, iniziò con noi la marcia verso Cuba. Ricordo che quel viaggio fu molto duro per lui poiché, date le circostanze in cui fu necessario organizzare la partenza, non poté neppure rifornirsi delle medicine di cui aveva bisogno e passò tutta la traversata in preda a un forte attacco d'asma, senza un momento di sollievo, ma anche senza un solo lamento. Arrivammo, iniziammo le prime marce, soffrimmo i primi rovesci, e dopo alcune settimane tornammo a riunire - come voi sapete - il gruppo di quelli che restavano della spedizione del “Granma”. Il Che continuava a essere il medico delle nostre truppe. Si verificò il primo combattimento vittorioso e il Che fu soldato nella nostra truppa pur continuando ad esserne il medico; si verificò il secondo combattimento vittorioso e il Che non fu solo soldato, ma anche il più illustre dei soldati in quel combattimento, realizzando per la prima volta una di quelle prodezze singolari che lo avrebbero distinto in tutte le azioni; la nostra forza continuava infatti a svilupparsi, quando sopravvenne un combattimento di straordinaria importanza. La situazione era difficile. Le informazioni erano sbagliate in molti sensi. Dovevamo attaccare in pieno giorno una postazione molto ben difesa, in riva al mare, ben armata e con truppe nemiche a poca distanza dalla nostra retroguardia; nel mezzo di quella situazione confusa, dove fu necessario chiedere agli uomini uno sforzo supremo, il compagno Juan Almeida si incaricò di una delle missioni più difficili; restava tuttavia un fianco completamente scoperto, senza forza d'attacco, cosa che poteva mettere in pericolo l'operazione. In quel momento il Che, che era ancora il medico, chiese tre o quattro uomini, tra cui uno con un fucile mitragliatore e, fu questione di secondi, intraprese la marcia per comandare la missione d'attacco da quella direzione. In quell'occasione non solo fu un combattente straordinario, fu anche un medico eccellente, assistette i compagni feriti, e assistette contemporaneamente i soldati nemici feriti. E quando si dovette abbandonare quella posizione, una volta sconfitte tutte le truppe e, intrapresa una lunga marcia, incalzati da diverse forze nemiche, fu necessario che qualcuno rimanesse vicino ai feriti, vicino ai feriti rimase il Che. Aiutato da un piccolo gruppo di nostri soldati, li curò, salvò loro la vita e con essi raggiunse la colonna. Già da quel momento si segnalò come un capo capace e coraggioso, di quel tipo d'uomini che quando bisogna svolgere una missione difficile non aspetta che glielo chiedano.
Così fece nella battaglia di El Uvero, ma così aveva fatto anche in un episodio mai ricordato: quando, nei primi tempi, per colpa di un tradimento, la nostra piccola truppa fu attaccata di sorpresa da numerosi aerei e, dopo esserci ritirati sotto il bombardamento e aver camminato già per un tratto, ci ricordammo dei fucili di alcuni soldati contadini che erano stati con noi durante le prime azioni e avevano poi chiesto permesso di visitare i loro familiari - era il periodo in cui nel nostro esercito appena organizzato non c'era ancora molta disciplina. E in quel momento pensammo alla possibilità che quei fucili andassero perduti. Stavamo esaminando il problema, sotto il bombardamento, ed ecco che il Che si offrì e partì immediatamente per recuperare quei fucili. Era una delle sue caratteristiche principali: la disponibilità immediata, istantanea, a offrirsi per realizzare la missione più pericolosa. E ciò, naturalmente, suscitava ammirazione, doppia ammirazione verso quel compagno che lottava assieme a noi, che non era nato in questa terra, che era un uomo dalle idee profonde, nella cui mente brulicavano sogni di lotta in altre parti del continente; ammirazione per quell'altruismo, quel disinteresse, quella disponibilità a fare sempre la cosa più difficile, a mettere costantemente a rischio la propria vita. Fu così che si guadagnò i gradi di comandante e di capo della seconda colonna organizzata nella Sierra Maestra; fu così che iniziò a crescere il suo prestigio, che iniziò a prendere forma il magnifico combattente che durante la guerra avrebbe portato i gradi più alti. Il Che era un soldato insuperabile; il Che era un capo insuperabile; il Che era, dal punto di vista militare, un uomo straordinariamente aggressivo. Se come guerrigliero aveva un tallone d'Achille, quel tallone d'Achille era la sua eccessiva aggressività, il suo assoluto disprezzo del pericolo. I nemici pretendono di giungere a conclusioni sulla sua morte. Il Che era un maestro della guerra, il Che era un artista della guerriglia! E lo dimostrò un'infinità di volte, ma lo dimostrò soprattutto in due straordinari atti eroici: uno fu l'invasione del fronte con una colonna incalzata da migliaia di soldati su un terreno assolutamente piano e sconosciuto, realizzando, assieme a Camilo, una formidabile impresa militare. Lo dimostrò, inoltre, nella sua fulminea campagna di Las Villas e lo dimostrò, soprattutto, nel suo audace attacco alla città di Santa Clara, penetrando con una colonna di soli trecento uomini in una città difesa da carri armati, artiglieria e varie migliaia di soldati di fanteria. Queste due imprese lo consacrano un capo straordinariamente capace, un maestro, un artista della guerra rivoluzionaria.
Tuttavia, alcuni pretendono di negare la veridicità della sua morte eroica e gloriosa o il valore dei suoi concetti e delle sue idee di guerriglia. Potrà morire l'artista, soprattutto quando si è un artista di un'arte così pericolosa come la lotta rivoluzionaria, ma ciò che assolutamente non morirà è l'arte alla quale dedicò la sua vita e alla quale dedicò la sua intelligenza. È forse strano che questo artista muoia in combattimento? Ancora più singolare è il fatto che nel corso delle innumerevoli occasioni nelle quali mise a repentaglio la sua vita durante la nostra lotta rivoluzionaria non sia mai morto. E furono molte le volte in cui fu necessario agire per impedire che perdesse la vita in situazioni di minor importanza. E così, in un combattimento, in uno dei tanti combattimenti a cui partecipò, perse la vita. Non abbiamo sufficienti elementi di giudizio per poter trarre deduzioni da tutte le circostanze che precedettero quella battaglia, né per sapere fino a che punto possa aver agito in modo eccessivamente aggressivo, ma, ripetiamo, se come guerrigliero aveva un tallone d'Achille, quel tallone d'Achille era la sua eccessiva aggressività, il suo assoluto disprezzo del pericolo. E in questo ci è difficile andare d'accordo con lui, poiché per noi la sua vita, la sua esperienza, le sue capacità di capo battagliero, il suo prestigio e tutto ciò che egli significava in vita erano molto di più, straordinariamente più di quanto forse egli giudicasse se stesso. Sul suo comportamento può avere influito l'idea che gli uomini hanno un valore relativo nella storia, che le cause non vengono sconfitte quando gli uomini cadono e che l'incontenibile cammino della storia non si trattiene né si tratterrà davanti alla caduta dei capi. E ciò è certo, non si può mettere in dubbio. Dimostra la sua fede negli uomini, la sua fiducia nelle idee, la sua fiducia nell'esempio. Tuttavia, come dissi pochi giorni or sono, avremmo preferito di tutto cuore vederlo fautore di vittorie: le plasmava sotto il suo comando, le plasmava sotto la sua direzione le vittorie, poiché gli uomini della sua esperienza, del suo calibro, con le sue capacità davvero singolari, sono uomini fuori dal comune. Siamo in grado di apprezzare tutto il valore del suo esempio e siamo assolutamente convinti che il suo esempio verrà emulato e servirà affinché dal seno dei popoli nascano uomini come lui. Non è facile coniugare in una persona tutte le virtù presenti in lui. Non è facile che una persona, spontaneamente, sia in grado di sviluppare una personalità come la sua. Direi che si tratta di quel genere di uomini difficili da eguagliare e praticamente impossibili da superare. Ma diremmo anche che uomini come lui contribuiscono, con il loro esempio, a creare uomini della stessa stirpe.
Nel Che non ammiriamo solo il guerriero, l'uomo capace di grandi prodigi, ciò che fece, ciò che stava facendo, il fatto stesso di confrontarsi da solo assieme a un pugno di uomini contro un esercito oligarchico, istruito dai comandanti yankee forniti dall'imperialismo yankee, appoggiato dalle oligarchie di tutti i paesi vicini - questo fatto di per se stesso costituisce un prodigio straordinario. E se si cerca tra le pagine della storia, forse non si troverà nessun caso in cui qualcuno, con un numero così ridotto di uomini, abbia intrapreso un compito altrettanto prestigioso, in cui qualcuno con un numero così ridotto di uomini abbia ingaggiato la lotta contro forze così cospicue. Tale prova di fiducia in se stesso, tale prova di fiducia nei popoli, tale prova di fede nella capacità degli uomini in combattimento, si potrà forse intravedere nelle pagine della storia, ma comunque non si potrà trovare nulla di simile. E cadde. I nemici credono di avere sconfitto le sue idee, di avere sconfitto il suo concetto di guerriglia, di avere sconfitto le sue convinzioni sulla lotta rivoluzionaria armata. Ma ciò che hanno ottenuto è stato, con un colpo di fortuna, di eliminare la sua vita fisica; ciò che riuscì loro fu di ottenere i vantaggi fortuiti che nella guerra può ottenere un nemico. E quel colpo di fortuna, non sappiamo fino a che punto è stato aiutato da quella caratteristica a cui abbiamo fatto riferimento prima, quell'eccessiva aggressività, quell'assoluto disprezzo per il pericolo durante i combattimenti. Così accadde anche nella nostra guerra di indipendenza. Durante un combattimento a Punta Brava. In un combattimento a Dos Rios uccisero Antonio Maceo, apostolo della nostra indipendenza, veterano di centinaia di combattimenti. In simili combattimenti morì un'infinità di patrioti della nostra guerra indipendentista. E, tuttavia, ciò non causò la sconfitta della causa cubana. La morte del Che, come abbiamo detto alcuni giorni fa, è un colpo duro, è un colpo tremendo per il movimento rivoluzionario poiché lo priva indubbiamente di un capo della sua classe, esperienza e capacità. Ma si sbaglia chi canta vittoria. Si sbagliano coloro che credono che la sua morte rappresenti la sconfitta delle sue idee, la sconfitta delle sue tattiche, la sconfitta delle sue idee di guerriglia, la sconfitta delle sue tesi. Perché quell'uomo che cadde come un uomo mortale, come un uomo che si era esposto molte volte alle pallottole, come militare, come capo, è mille volte più capace di quelli che lo uccisero grazie a un colpo di fortuna.
Tuttavia, come devono affrontare i rivoluzionari questo colpo avverso? Come devono affrontare questa perdita? Quale sarebbe l'opinione del Che se dovesse esprimere un giudizio su questo punto? La sua opinione la espresse chiaramente quando scrisse, nel suo messaggio alla Conferencia de Solidaridad Latinoamericana, che se la morte lo avesse sorpreso sarebbe stata sempre la benvenuta, purché quel suo grido di guerra fosse giunto a un orecchio in ascolto e un'altra mano si fosse allungata per impugnare l'arma. E quel suo grido di guerra non raggiungerà un orecchio in ascolto, raggiungerà milioni di orecchie in ascolto! E non una mano, ma milioni di mani, ispirate dal suo esempio, si allungheranno per impugnare le armi! Nasceranno nuovi capi. E gli uomini, le orecchie in ascolto e le mani che si tendono hanno bisogno di capi che sorgeranno dalle fila del popolo, così come sono nati i capi di tutte le rivoluzioni. Quelle mani non potranno contare su un capo dall'esperienza straordinaria, dall'enorme capacità del Che. Quei capi si formeranno durante la lotta, quei capi nasceranno in seno ai milioni di orecchie in ascolto, ai milioni di mani che prima o poi si allungheranno per impugnare le armi. Non pensiamo che, nell'ordine pratico della lotta rivoluzionaria, la sua morte debba avere una ripercussione immediata. Ma il Che, quando impugnò di nuovo le armi, non stava pensando a una vittoria immediata, non stava pensando a un trionfo rapido davanti alle forze delle oligarchie e dell'imperialismo. La sua mente di combattente esperto era preparata a una lotta prolungata, di cinque, dieci, quindici, vent'anni, se necessario. Egli era disposto a lottare cinque, dieci, quindici, vent'anni, tutta la vita se fosse stato necessario! È con questa prospettiva nel tempo che la sua morte, che il suo esempio - è così che dobbiamo dire - avrà una ripercussione tremenda, avrà una forza invincibile. Coloro che si attaccano al colpo di fortuna cercano invano di negare la sua capacità come capo e la sua esperienza. Il Che era un capo militare straordinariamente capace. Ma quando ricordiamo il Che, quando pensiamo al Che non stiamo pensando solo alle sue virtù militari. No! La guerra è un mezzo e non un fine, la guerra è uno strumento dei rivoluzionari. L'importante è la rivoluzione, l'importante è la causa rivoluzionaria, sono le idee rivoluzionarie, gli obiettivi rivoluzionari, i sentimenti rivoluzionari, le virtù rivoluzionarie! Ed è in quel campo, nel campo delle idee, nel campo dei sentimenti, nel campo delle virtù rivoluzionarie, nel campo dell'intelligenza, oltre alle sue virtù militari, che noi sentiamo l'immensa perdita che la sua morte ha significato per il movimento rivoluzionario. Perché il Che riuniva, nella sua straordinaria personalità, virtù che raramente si presentano assieme.
Spiccò come insuperabile uomo d'azione, ma il Che non era solo un insuperabile uomo d'azione; il Che era un uomo dal pensiero profondo, di intelligenza visionaria, un uomo di profonda cultura. Riuniva nella sua persona l'uomo di idee e l'uomo d'azione. Ma il Che poteva riunire questa doppia caratteristica di uomo di idee, e di idee profonde, e di uomo d'azione, solo perché riuniva le virtù che si possono definire come l'espressione più precisa delle virtù di un rivoluzionario: uomo integerrimo, uomo dall'onore supremo, di assoluta sincerità, uomo dalla vita stoica e spartana, uomo nel cui comportamento è impossibile trovare una sola macchia. Con le sue virtù creò ciò che si può chiamare un vero modello di rivoluzionario. Quando scocca l'ora della morte, di solito si fanno discorsi, si decantano le virtù dei defunti, ma poche volte come in questa occasione si può dire di un uomo, con maggiore esattezza, quello che diciamo del Che: che costituì un vero esempio di virtù rivoluzionarie! Aveva un'altra qualità, che non è una qualità dell'intelletto, che non è una qualità della volontà, che non è una qualità che deriva dall'esperienza, dalla lotta: è una qualità del cuore, perché era un uomo straordinariamente umano, straordinariamente sensibile! Per questo diciamo, quando pensiamo alla sua vita, quando pensiamo al suo comportamento, che costituì il caso singolare di un uomo rarissimo, in quanto fu in grado di coniugare nella sua personalità non solo le caratteristiche di uomo d'azione, ma anche quelle di uomo di pensiero, di uomo dalle immacolate virtù rivoluzionarie e di eccezionale sensibilità umana, unite a un carattere di ferro, a una volontà d'acciaio, a una tenacia indomabile. E per questo ha lasciato in eredità alle generazioni future non solo la sua esperienza, le sue conoscenze di soldato insigne, ma anche le opere della sua intelligenza. Scriveva con il virtuosismo di un classico. I suoi racconti sulla guerra sono insuperabili. La profondità del suo pensiero è impressionante. Non scrisse mai su alcun argomento se non con straordinaria serietà, con straordinaria profondità, e non dubitiamo che alcuni dei suoi scritti passeranno ai posteri come classici del pensiero rivoluzionario. E così, quale frutto della sua intelligenza forte e profonda, ci ha lasciato un'infinità di ricordi, un'infinità di resoconti che, senza il suo lavoro, senza i suoi sforzi, si sarebbero potuti dimenticare forse per sempre. Lavoratore instancabile, negli anni in cui fu al servizio della nostra patria non conobbe un solo giorno di riposo.

Molte furono le responsabilità assegnategli: presidente del Banco Nacional, direttore della Giunta per la pianificazione, ministro dell'Industria, comandante di regioni militari, capo di delegazioni politiche, economiche o amichevoli. La sua intelligenza dalle mille sfaccettature era in grado di intraprendere con il massimo della sicurezza qualsiasi compito in qualsiasi ordine, in qualsiasi senso. Così rappresentò in modo brillante la nostra patria in numerose conferenze internazionali, diresse brillantemente i soldati durante i combattimenti, nello stesso modo fu un modello di lavoratore in ciascuna delle istituzioni a cui dovette sovrintendere, e per lui non ci fu un giorno di riposo, non ci fu un'ora di riposo! E se osservavamo le finestre del suo ufficio, le luci restavano accese fino alle ore piccole, studiava o, meglio ancora, lavorava e studiava. Perché era uno studioso di tutti i problemi, era un lettore infaticabile. La sua sete di comprendere lo scibile umano era praticamente insaziabile e dedicava allo studio le ore tolte al sonno. Dedicava i regolari giorni di riposo al lavoro volontario. Fu l'ispiratore e il massimo propulsore di quel lavoro che è oggi l'attività di centinaia di migliaia di persone in tutto il paese, il propulsore di quell'attività che ogni giorno assume maggior forza tra le masse del nostro popolo. E come rivoluzionario, come rivoluzionario comunista, veramente comunista, aveva una fiducia infinita nei valori morali, aveva una fiducia infinita nella coscienza degli uomini. E dobbiamo dire che col suo modo di pensare vide con assoluta chiarezza nelle risorse morali la leva fondamentale per la costruzione del comunismo nella società umana. Pensò, sviluppò e scrisse molte cose. E vi è qualcosa che bisogna ricordare in un giorno come oggi, cioè che gli scritti del Che, il pensiero politico e rivoluzionario del Che, avranno un valore permanente nel processo rivoluzionario cubano e nel processo rivoluzionario dell'America Latina. È fuor di dubbio che il valore delle sue idee, delle sue idee sia come uomo d'azione, sia come uomo di pensiero, sia come uomo di chiare virtù morali, sia come uomo di insuperabile sensibilità umana, sia come uomo dalla condotta impeccabile, ha e avrà un valore universale. Gli imperialisti cantano vittoria davanti al guerrigliero morto in combattimento; gli imperialisti cantano vittoria davanti al colpo di fortuna che li ha portati a eliminare un uomo d'azione così formidabile. Ma forse gli imperialisti ignorano o vogliono ignorare che il carattere dell'uomo d'azione era una delle tante sfaccettature della personalità di questo combattente. E se si tratta di dolore, noi piangiamo non solo la perdita dell'uomo d'azione, noi piangiamo la perdita dell'uomo virtuoso, noi piangiamo la perdita dell'uomo dalla squisita sensibilità umana: e ci addolora pensare che aveva solo trentanove anni al momento della morte, ci addolora pensare che abbiamo perso l'opportunità di ricevere i frutti di quell'intelligenza e di quell'esperienza in continuo sviluppo. Noi ci rendiamo conto dell'entità della perdita per il movimento rivoluzionario. Ma tuttavia è lì che si trova il lato debole del nemico imperialista: credere che con l'uomo fisico si liquidi il suo pensiero, credere che con l'uomo fisico si liquidino le sue idee, credere che con l'uomo fisico si liquidino le sue virtù, credere che con l'uomo fisico si liquidi il suo esempio. E lo credono in modo talmente immorale che non temono di divulgare, come fosse la cosa più naturale del mondo, ciò che successe dopo che il Che era stato ferito gravemente in combattimento. Non si sono tirati indietro neppure davanti alla ripugnanza della procedura, non si sono tirati indietro di fronte all'indecenza del riconoscimento. E hanno divulgato come diritto degli sbirri, hanno divulgato come diritto degli oligarchi e dei mercenari, l'aver sparato contro un combattente della rivoluzione ferito gravemente. Il peggio è che hanno anche spiegato il perché l'hanno fatto, aggiungendo che il processo in cui avrebbero dovuto giudicare il Che sarebbe stato tremendo, adducendo che sarebbe stato impossibile far sedere su un banco di tribunale un rivoluzionario simile. E non solo questo: non hanno vacillato nel far sparire i suoi resti. E, verità o menzogna, annunciano di aver cremato il cadavere, fatto con il quale iniziano a dimostrare la loro paura, con il quale iniziano a dimostrare che non sono convinti che liquidando la vita fisica del combattente liquidano le sue idee e liquidano il suo esempio. Il Che non cadde per difendere un altro interesse, per difendere un'altra causa che non fosse la causa degli sfruttati e degli oppressi di questo continente; il Che non cadde per difendere un'altra causa se non quella dei poveri e degli umili di questa terra. E i suoi nemici più accaniti non osano neppure discutere il modo esemplare e il disinteresse con cui difese tale causa. E di fronte alla storia, gli uomini che agiscono come lui, gli uomini che fanno di tutto e danno tutto alla causa degli umili, diventano ogni giorno più grandi dei giganti, ogni giorno che passa si addentrano più velocemente nel cuore dei popoli. E questo i nemici imperialisti iniziano già a percepirlo, e non tarderanno a verificare che alla lunga la sua morte sarà come un seme dal quale nasceranno molti uomini decisi a emularlo, molti uomini decisi a seguire il suo esempio. E noi siamo assolutamente convinti che la causa rivoluzionaria in questo continente si rimetterà dal colpo, che la causa rivoluzionaria in questo continente non verrà sconfitta da questo colpo. Dal punto di vista rivoluzionario, dal punto di vista del nostro popolo, come dobbiamo guardare all'esempio del Che? Pensiamo forse d'averlo perso? È certo che non vedremo nuovi scritti, è certo che non torneremo ad ascoltare di nuovo la sua voce. Ma il Che ha lasciato al mondo un patrimonio, un grande patrimonio, e di questo patrimonio noi - che lo conosciamo così bene - possiamo essere, in modo considerevole, i suoi eredi. Ci ha lasciato il suo pensiero rivoluzionario, ci ha lasciato le sue virtù rivoluzionarie, ci ha lasciato il suo carattere, la sua volontà, la sua tenacia, il suo spirito di lavoro. In una parola, ci ha lasciato il suo esempio! E l'esempio del Che deve essere un modello per il nostro popolo, l'esempio del Che deve essere il modello ideale per il nostro popolo! Se desideriamo esprimere come vogliamo che siano i nostri combattenti rivoluzionari, i nostri militanti, i nostri uomini, dobbiamo dire senza vacillare in nessun modo: che siano come il Che! Se desideriamo esprimere come vogliamo che siano gli uomini delle future generazioni, dobbiamo dire: che siano come il Che! Se desideriamo dire come vogliamo che vengano educati i nostri bambini, dobbiamo dire senza vacillare: che siano educati nello spirito del Che! Se vogliamo un modello d'uomo, un modello d'uomo che non appartiene a questo tempo, un modello d'uomo che appartiene al futuro, dico di cuore che questo modello senza una sola macchia nel comportamento, senza una sola macchia nell'atteggiamento, senza una sola macchia nel modo d'agire, questo modello è il Che! Se vogliamo esprimere come desideriamo che siano i nostri figli, dobbiamo dire con tutto il cuore di veementi rivoluzionari: vogliamo che siano come il Che!
Il Che si è trasformato in un modello non solo per il nostro popolo, ma per qualsiasi popolo dell'America Latina. Il Che innalzò alla più alta espressione lo stoicismo rivoluzionario, lo spirito di sacrificio rivoluzionario, la combattività del rivoluzionario, lo spirito di lavoro del rivoluzionario e il Che portò le idee del marxismo-leninismo alla loro espressione più fresca, più pura, più rivoluzionaria. In questi tempi, nessun uomo come lui ha condotto al livello supremo lo spirito internazionalista proletario! E quando si parla di internazionalista proletario, e quando si cerca un esempio di internazionalista proletario, quell'esempio, al di sopra di qualsiasi altro, è l'esempio del Che! Nella sua mente e nel suo cuore erano scomparsi le bandiere, i pregiudizi, gli sciovinismi, gli egoismi: era disposto a versare il suo sangue generoso per la sorte di qualsiasi popolo, per la causa di qualsiasi popolo, e disposto a versarlo spontaneamente e disposto a versarlo subito! E così, il suo sangue fu versato su questa terra quando lo ferirono in diversi combattimenti; il suo sangue per la redenzione degli sfruttati e degli oppressi, degli umili e dei poveri, venne versato in Bolivia. Quel sangue fu versato per tutti gli sfruttati, per tutti gli oppressi; quel sangue fu versato per tutti i popoli d'America e fu versato per il Vietnam, perché là, combattendo contro le oligarchie, combattendo contro l'imperialismo, sapeva di offrire al Vietnam la più alta espressione della sua solidarietà! Ecco perché, compagni e compagne della Rivoluzione, noi dobbiamo guardare con fermezza e decisione al futuro; ecco perché dobbiamo guardare con ottimismo al futuro. E cercheremo sempre nell'esempio del Che l'ispirazione, l'ispirazione alla lotta, l'ispirazione alla tenacia, l'ispirazione all'intransigenza di fronte al nemico e l'ispirazione al sentimento internazionalista! Ecco perché noi, stanotte, dopo questa manifestazione impressionante, dopo questo incredibile - per la sua grandezza, per la sua disciplina e per la sua devozione - atto di riconoscenza della folla, che dimostra come questo sia un popolo sensibile, che dimostra come questo sia un popolo grato, che dimostra come questo popolo sia solidale con la lotta rivoluzionaria, che dimostra come questo popolo sappia onorare la memoria dei coraggiosi che cadono in combattimento, che dimostra come questo popolo sappia riconoscere quelli che lo servono, che dimostra come questo popolo sia solidale con la lotta rivoluzionaria, che dimostra come questo popolo innalzi e mantenga sempre in alto e sempre più in alto le bandiere rivoluzionarie e i principi rivoluzionari; oggi, in questi momenti di ricordo, eleviamo il nostro pensiero, con ottimismo, al futuro, con ottimismo assoluto nella vittoria definitiva dei popoli e diciamo al Che, e con lui agli eroi che combatterono e caddero assieme a lui: Fino alla vittoria, sempre! Patria o morte! Vinceremo!»
71. F. Castro, Discorso in memoria del comandante Ernesto “Che” Guevara, Plaza de la Revoluciòn, L'Havana, Che-guevara.it, 18 ottobre 1967.

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