21 Novembre 2024

2.01. IL CONFLITTO CAPITALE-LAVORO NEL DOPOGUERRA

«La proprietà dei mezzi di produzione e quindi la ricchezza si concentrano nelle mani di pochi gruppi di plutocrati, che se ne servono per dominare la vita di tutto il paese, per dirigerne le sorti nel proprio interesse esclusivo, per sostenere movimenti politici reazionari, per mantenere ed instaurare le tirannidi fasciste, per scatenare guerre imperialistiche di rapina, operando sistematicamente contro l’interesse del popolo, della nazione. […] Vano sarà avere scritto nella nostra Carta il diritto di tutti i cittadini al lavoro, al riposo e così via, se poi la vita economica continuerà ad essere retta secondo i princìpi del liberalismo». (Palmiro Togliatti, dal dibattito alla prima sottocommissione dell’Assemblea costituente sui principi che devono informare i rapporti economico-sociali che si sarebbero materializzati nei 14 articoli del Titolo III della Carta)32
Per aiutarci a tracciare il seguente quadro, ricordando che tra il 28 febbraio e il 1° febbraio 1945 rinasce un sindacato unitario dei lavoratori (la CGIL, Confederazione Generale Italiana dei Lavoratori), diamo la parola a Michele Michelino33:
«Dopo anni di compressioni salariali e normative che facevano degli operai italiani i peggio pagati d'Europa, venne il momento di livellare le condizioni; così furono notevoli le “conquiste” che gli operai ottennero in questo periodo. Nel luglio 1945 venne estesa a tutti i lavoratori dell'industria dell'Italia settentrionale l'indennità di contingenza stabilita in un accordo precedentemente raggiunto in provincia di Milano. Nel dicembre dello stesso anno la CGIL riuscì a concludere un accordo definitivo per la gratifica natalizia assicurando agli operai il corrispettivo di 200 ore lavorative e agli impiegati la 13ª mensilità. Fu inoltre istituita la Cassa Integrazione in caso di sospensione dal lavoro, già prevista per altro dalle leggi fasciste del 1941. Nel 1946 si ottennero i contributi assicurativi a carico dei datori di lavoro. Nel settembre dello stesso anno anche gli statali ottennero la 13ª mensilità, oltre a un aumento contrattuale del 70%. Nel 1945 il PCI, posto davanti ad un'ipotesi di smembramento della FIAT, ceduta al capitale “straniero” (la FORD), chiedeva al governo di vigilare ed operare “in senso conforme agli interessi nazionali”.
Nel giugno di quell' anno anche il sindacato era sceso in campo sul terreno generale invitando i lavoratori a votare per la repubblica nel referendum. Intanto la borghesia italiana, prima monarchica liberale con Giolitti, poi monarchica fascista con Mussolini, cambia nuovamente rappresentanza politica diventando repubblicana e democristiana con De Gasperi. Ormai la borghesia non ha più bisogno di tenersi buono il PCI di Togliatti: è arrivato il momento in cui buttarlo fuori dal governo, dandogli il benservito. Nel suo discorso del gennaio 1947 alla Costituente, mentre sta per essere estromesso dal governo, Togliatti dichiara: “Si parla di ondate di scioperi politici che avrebbero scosso e scuoterebbero la compagine nazionale. Ho fatto in proposito una ricerca: noi siamo il paese dove hanno luogo meno scioperi. Non ha avuto luogo negli ultimi anni nessuno sciopero politico. Questa è la realtà. Anzi, io desidero andare più in là: siamo un paese nel quale le organizzazioni operaie hanno firmato una tregua salariale, cioè un patto che è unico nella storia del movimento sindacale, perché è un patto nel quale non si fissa un minimo, ma un massimo di salario; cosa questa che non era mai avvenuta, poiché la classe operaia ha sempre lottato per dei minimi e non ha mai accettato dei massimi. Orbene, questo patto lo hanno accettato i nostri operai, lo hanno accettato i nostri sindacati e lo hanno firmato senza che dall' altra parte venisse preso un impegno dì osservare un massimo di prezzi. Questo è l'assurdo della situazione economica nella quale noi viviamo: da parte delle classi lavoratrici e dei sindacati operai si danno tutti gli esempi si compiono tutti gli atti necessari per compiere la disciplina della produzione, l'ordine e la 'pace sociale'”.
Naturalmente la “tregua salariale” di cui parla Togliatti nessun operaio l'aveva sottoscritta. Ma, come sempre succede, anche in questo caso DC, PCI, PSI e sindacati, arrogandosi il diritto di rappresentanza, si erano presi la delega per decidere i “sacrifici” che altri avrebbero dovuto fare. Dopo la definitiva estromissione della sinistra dal governo, in un altro discorso alla Costituente Togliatti dichiara: “L'onorevole Cappi sviluppa ampiamente la tesi che i ceti produttori capitalistici hanno diritto di vivere e dì contribuire alla ricostruzione del paese... Sappiamo benissimo che per la ricostruzione del paese sono necessarie queste forze e infinite volte abbiamo detto loro 'collaboriamo' e abbiamo teso loro la mano; abbiamo elaborato programmi di ricostruzione di fabbriche, di zone industriali di città, di province intere... Ma gli operai hanno fatto di più: hanno moderato il loro movimento, l'hanno frenato, l'hanno contenuto nei limiti in cui era necessario contenerlo per non turbare l'opera di ricostruzione: hanno accettato la tregua salariale, cioè una sospensione degli aumenti salariali, senza che vi fosse la corrispondente sospensione degli aumenti dei prezzi... I nostri operai comunisti e socialisti vedranno al governo i rappresentanti del ceto ricco, dei grandi capitalisti come Pirelli ad esempio; non vedranno gli uomini in cui essi hanno fiducia. È evidente quindi che la loro fiducia nel governo come tale non potrà esistere o sarà per lo meno una fiducia molto ridotta. Questa è la cosa che più ci preoccupa!” “...Stia tranquillo, onorevole Corbino. Lei ha dimostrato la sua soddisfazione per il fatto che il nostro partito, messo fuori dal governo, non ha lanciato la parola d'ordine dell'insurrezione. La cosa ci meraviglia. Lei, onorevole Corbino, avrebbe il dovere di conoscerci meglio!”. Subito dopo la fine della guerra la lotta per la terra nel Meridione d'Italia assume caratteristiche di massa. Nel 1946 si hanno dure lotte in Lazio, Puglia, Calabria e Sicilia. Nella cittadina di Andria (in Puglia) i contadini ed i braccianti, sostenuti da tutta la popolazione, insorgono contro gli agrari che si barricano nei loro palazzi. La polizia, intervenuta a difesa degli agrari, spara contro i rivoltosi e sul campo rimangono sette morti e centinaia di feriti. La situazione diventa insurrezionale. Per cercare di riportare la protesta negli ambiti istituzionali, il ministro degli interni mette un aereo a disposizione di Di Vittorio affinché riprenda il controllo del movimento e “condanni ogni violenza”. Il 2 maggio 1947, il bandito separatista Salvatore Giuliano, messosi al servizio degli agrari e della DC, spara su una pacifica manifestazione di contadini a Portella della Ginestra (in Sicilia), ammazzandone 7 e ferendone 33. In questa situazione la CGIL si avviava al congresso. Il primo congresso nazionale della CGIL fu tenuto a Firenze dall'1 al 7 giugno 1947 e fu unitario nonostante l'esclusione del PCI e del PSI dal governo. In questo congresso si discusse fra l'altro il ruolo delle ACLI, le quali (istituite dall'Azione Cattolica dopo la liberazione di Roma con il compito di agire nel campo educativo ed assistenziale) tendevano in realtà ad interferire nel campo sindacale. In quel periodo fra le conquiste da ricordare ci sono:
-il raddoppio delle ferie degli operai;
-l’istituzione e il miglioramento del trattamento di quiescenza degli operai (cioè la liquidazione, o indennità di licenziamento);
-il pagamento delle festività infrasettimanali.
Intanto le contraddizioni fra i partiti dividono anche il sindacato. Nell'ottobre del 1946 la CGIL stabilisce una tregua salariale rinnovata anche nel maggio del 1947. Questo comporta una diminuzione del salario reale. Facendo pari a 100 l'indice dei salari e dei prezzi nel 1938, nel settembre 1947 i salari arrivano a quota 4.670, mentre il costo della vita raggiunge quota 5.334. Il numero dei disoccupati passa da 1.654.880 nel 1946 a 2.025.140 nel 1947 e a 2.142.474 nel 1948. Questo è il prezzo pagato dai lavoratori alla politica collaborazionista dei suoi leader sindacali e politici. In questo periodo la borghesia fa sempre più frequentemente ricorso alla serrata per arginare le lotte degli operai, che spesso decidono all'interno delle fabbriche forme di lotta non condivise dal sindacato e dal PCI. Durante l'autunno del '47 i licenziamenti di massa colpiscono le fabbriche: sono oltre 100.000 i licenziati nelle fabbriche milanesi e torinesi. Nel 1948 avvengono due fatti tra i più importanti del dopoguerra. Il 14 luglio, alla notizia dell'attentato a Togliatti, a Milano, Torino e in parecchi altri centri le fabbriche vengono occupate spontaneamente dagli operai armati. […] [torneremo più avanti ad esaminare nel dettaglio lo sciopero del '48, ndr]
Il 1948 registra anche un'altra novità di rilievo: la corrente sindacale democristiana abbandona la CGIL. Nel maggio del 1949 anche i repubblicani ed i saragattiani abbandoneranno la CGIL, costituendo la Federazione Italiana del Lavoro. Nonostante la pratica di collaborazione attuata nel periodo di ricostruzione dai dirigenti della CGIL, i capitalisti italiani e americani (molto forte era l'influenza di questi ultimi) hanno spinto decisamente nella direzione dell’indebolimento della CGIL. A Napoli nel febbraio del 1950 avviene perciò la fusione fra la Federazione Italiana (repubblicani e saragattiani) e la corrente sindacale democristiana: il nuovo sindacato assume il nome di Confederazione Italiana dei Sindacati Liberi (CISL). A questa nuova organizzazione si rifiutano di aderire parecchi socialdemocratici e repubblicani, che costituiscono l'Unione Italiana del Lavoro (UIL). Alla nascita di queste nuove organizzazioni, che di fatto indebolivano il movimento operaio, furono di grande aiuto i dollari americani. Gli effetti della crisi economica nel dopoguerra cominciano intanto a farsi sentire; nel 1949 gli iscritti agli uffici di collocamento sono circa 2 milioni, mentre si calcola che gli occupati marginali siano 4 milioni. […] Dopo la rottura dell'unità sindacale, al 2° congresso della CGIL (tenuto a Genova dal 4 al 9 ottobre 1949) Giuseppe Di Vittorio propone il “piano del lavoro”. Partendo dall'idea che nella ricostruzione è possibile una collaborazione verso il “risanamento e il progresso”, la CGIL vede questo piano basato su un vasto programma di opere pubbliche (strade, telefoni, acquedotti, ecc.) di edilizia popolare, scolastica e ospedaliera. Per il finanziamento del piano, Di Vittorio dice senza mezzi termini che i “lavoratori salariati e stipendiati sarebbero felici di dare il loro contributo avviando nelle fabbriche i 'consigli di gestione'”. Il governo ed i padroni però rispondono negativamente. Angelo Costa, presidente della Confindustria, risponde che “l'evidente finalità politica del piano economico non consente una vera collaborazione”. Gli anni fra il 1950 e il 1955 sono anni di grande sviluppo dell'industria italiana, che aumenta notevolmente la sua capacità competitiva sui mercati internazionali. Uno sviluppo notevole avviene in alcuni settori come la siderurgia, la chimica, l'elettricità e l'automobile. Nello stesso periodo la produzione aumenta ad un ritmo del 10% l'anno, mentre l'incremento dei profitti nelle aziende industriali è dell'86% per gli utili netti distribuiti. Invece i salari reali fra il 1950 e il 1961 rimangono quasi stazionari. La ristrutturazione in questi anni avviene attraverso una duplice manovra, che comporta due tipi di intervento:
-la normalizzazione dei rapporti politici con la sinistra;
-la repressione delle frange più estreme.
Il 9 gennaio del 1950, di fronte alla protesta degli operai di una fabbrica di Modena contro la chiusura di uno stabilimento, il governo fa intervenire la polizia: sul campo rimangono 6 morti e 50 feriti, a cui vanno aggiunti i licenziamenti per rappresaglia, i trasferimenti, le perquisizioni e le discriminazioni che da questo momento diventano una pratica costante, particolarmente alla FIAT. Inizia così la grande repressione contro le avanguardie di lotta, gli operai non più disposti ad abbassare la testa. Nel febbraio del 1954 l'ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, la signora Clara Booth Luce, chiese esplicitamente a Valletta, presidente della FIAT, di “ripulire la FIAT dai comunisti”, pena la perdita delle commesse militari che il Pentagono passava alla sua industria. La repressione in FIAT comporterà l'espulsione di decine di migliaia di operai, oltre all'istituzione dei “reparti-confino” per isolare i potenziali agitatori: il più noto di questi era l'Officina Sussidiaria Ricambi, detta anche “Officina Stella Rossa”, creata nel 1952. In questa situazione anche la più normale agitazione si trasformava in una prova di forza tra capitale e lavoro salariato; tant'è che nell'autunno del 1953, alla Mirafiori, alla SPA e alla Grandi Motori, la FIAT instaurò dei tribunali di fabbrica, composti da dirigenti e dall'ispettore del corpo di sorveglianza, per giudicare gli operai che non rispettavano la normale disciplina del lavoro e punirli di conseguenza: e spesso la pena era il licenziamento (notare che le guardie erano reclutate normalmente tra ex agenti di polizia ed ex carabinieri). Non è un caso che le lotte siano perciò rifluite, e che dall'inverno del 1953 alla primavera del 1962 in pratica non si ebbero più scioperi».
32. Citato in D. Greco, I comunisti e la Costituzione. Per il 94° anniversario della fondazione del PCI, Rifondazione.it, 21 gennaio 2015.
33. M. Michelino, 1880-1993, cit., cap. 3, paragrafo 5, cap. 4, paragrafi 1-4.

cookie