1.7. LE TESI DI APRILE E LA LORO ATTUALITÀ
In questo contesto nell'aprile del 1917 Lenin presentò al resto del proprio partito delle Tesi con cui, nello stupore collettivo, si esprimeva per la necessità di una seconda fase rivoluzionaria che andasse oltre quella “liberal-borghese”. Per presentare queste Tesi, diamo spazio ad un'analisi incentrata sulla loro attualità politica:
«Il 20 aprile 1917 (il 7 aprile secondo il vecchio calendario russo) la Pravda pubblicava con il titolo Sui compiti del proletariato nella rivoluzione attuale il rapporto di Lenin al comitato bolscevico del 17 aprile, nel quale erano esposte le celebri Tesi di Aprile. Si trattava di un punto di svolta per le sorti della rivoluzione russa e per la strategia rivoluzionaria del partito bolscevico. […] Le tesi di aprile, così come il dibattito che attraversa il partito bolscevico sulle questioni del dualismo di potere, della tattica nei confronti dei Soviet e del Governo provvisorio, contengono elementi di profonda attualità, che evidenzieremo man mano. […] Lenin, da poco rientrato in Russia a Pietrogrado, espone le sue tesi il 17 aprile durante una riunione di bolscevichi delegati alla Conferenza panrussa dei Soviet, e di nuovo il 18 aprile in una riunione più ampia di delegati bolscevichi e menscevichi. Il rapporto di Lenin, definito da più parti “delirante” (espressione usata da Plechanov) o addirittura “il delirio di un folle”, entra a gamba tesa nel dibattito che animava l'ala bolscevica del POSDR, da poco tornata a operare in condizioni di legalità. Il manuale di storia del PCUS sintetizza in questo passaggio l'elemento di forte innovazione che le Tesi di Aprile rappresentavano: “Già nel 1905 Lenin, nella sua opera Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica, aveva scritto che, dopo aver rovesciato lo zarismo, il proletariato sarebbe passato alla realizzazione della rivoluzione socialista. L'elemento nuovo, nelle Tesi, consisteva nel fatto che esse fornivano un piano concreto e dei saldi fondamenti teorici per imboccare la via della rivoluzione socialista”.
Le dieci tesi possono essere riassunte come segue:
- Il carattere della guerra imperialista non è cambiato semplicemente perché è cambiato il governo. Il Governo Provvisorio russo è un governo capitalista che sta proseguendo una guerra imperialista, al quale il proletariato non può dare nessun tipo di sostegno nel nome della “difesa della rivoluzione” (il “difensismo rivoluzionario”, come lo chiama Lenin) o “della patria”, che sarebbe accettabile solo se fosse il proletariato ad avere il potere. Questa posizione va spiegata alle masse che accettano in buona fede il “difensismo rivoluzionario” e propagandata nell'esercito, promuovendo le fraternizzazioni.
- La fase corrente è caratterizzata dal passaggio dalla prima fase della rivoluzione, che ha dato il potere alla borghesia a causa di una insufficiente coscienza del proletariato, alla seconda fase che deve dare il potere al proletariato.
- Nessun tipo sostegno deve essere dato al Governo provvisorio. L'attività del partito bolscevico deve consistere non nel “rivendicare” concessioni, ma nello smascherare la vera natura del Governo provvisorio e denunciare la falsità di ogni sua promessa.
- Bisogna riconoscere che il Partito bolscevico è in minoranza nella maggior parte dei Soviet, controllati dalle forze opportuniste, e che a causa di ciò la borghesia esercita il suo potere. Bisogna “spiegare alle masse che i Soviet dei deputati operai sono l'unica forma possibile di governo rivoluzionario e che, pertanto, fino a che questo governo sarà sottomesso all'influenza della borghesia, il nostro compito potrà consistere soltanto nello spiegare alle masse in modo paziente, sistematico, perseverante, conforme ai loro bisogni pratici, gli errori della loro tattica.”
- “Niente repubblica parlamentare – ritornare a essa dopo i Soviet dei deputati operai sarebbe un passo indietro – ma repubblica dei Soviet di deputati degli operai, dei salariati agricoli e dei contadini di tutto il paese, dal basso in alto”. Sostituire le forze di polizia e l'esercito permanente con l'armamento generale del popolo. Lo stipendio dei funzionari, eleggibili e revocabili in ogni momento, non deve superare il salario medio operaio.
- Programma agrario: confiscare tutte le grandi proprietà fondiarie, nazionalizzare tutte le terre e metterle a disposizione dei Soviet locali dei salariati agricoli e dei contadini; costituire i Soviet dei contadini poveri.
- Fusione di tutte le banche del paese in un'unica banca nazionale, controllata dal Soviet degli operai.
- Il compito immediato è il passaggio del controllo della produzione e della distribuzione, cioè del potere economico, nelle mani dei Soviet operai.
- I compiti immediati del partito sono la convocazione del Congresso, la modifica del programma del partito, il cambio del nome in “partito comunista”.
- Il partito deve prendere l'iniziativa della creazione di un'Internazionale rivoluzionaria contro i socialsciovinisti (cioè la socialdemocrazia della II Internazionale) e contro i centristi.
Nelle Tesi, in realtà, Lenin non utilizza ancora la formula “dualismo di potere”; che pure viene collegata ad esse in tutti i libri di storia. Questa denominazione comparirà per la prima volta in un articolo pubblicato due giorni dopo, il 22 aprile, sulla Pravda, con il titolo Sul dualismo di potere. L'analisi del dualismo di potere emerso in seguito alla Rivoluzione di Febbraio, tuttavia, era già fondamentale poiché su di essa si fondava la posizione di opposizione al Governo Provvisorio voluta da Lenin. Dall'analisi della situazione russa Lenin trae delle conclusioni che, come si vedrà, sono di enorme attualità. […] Le tesi suscitano non poche perplessità anche all'interno del partito bolscevico, nel quale come già detto era aperto il dibattito sulla politica da tenere nei confronti del Governo provvisorio. In particolare, l'idea che la rivoluzione proletaria sarebbe dovuta avvenire dopo la rivoluzione democratico-borghese portava un'area del partito, in cui spiccava Kamenev, ad affermare che siccome la rivoluzione democratica-borghese “non era conclusa”, il compito dei bolscevichi era sostenere il Governo Provvisorio nel quadro di uno sviluppo della rivoluzione borghese. È nelle Lettere sulla tattica, scritte tra il 21 e il 26 aprile, che Lenin risponde alle obiezioni di Kamenev tracciando un'analisi concreta degli sviluppi in Russia. Lenin sostiene che è sbagliato chiedersi, “alla vecchia maniera”, se la rivoluzione borghese sia o meno conclusa. Poiché il passaggio del potere dalla vecchia nobiltà alla borghesia è compiuto la rivoluzione democratico-borghese è terminata, ma il punto, afferma Lenin, è che accanto al potere borghese, in Russia, esiste già seppur in forma embrionale la dittatura del proletariato, il potere proletario. Questo potere, che la dottrina marxista ha chiamato dittatura del proletariato, in Russia esiste già in carne ed ossa con il nome di Soviet dei deputati degli operai e dei soldati. Sta tutto qui il dualismo di potere: non una semplice contrapposizione fra due “governi” o due poteri politici qualsiasi, ma nella specifica contrapposizione fra due poteri espressione di classi contrapposte, fra la forma assunta dal potere borghese (il Governo Provvisorio) e la forma concreta assunta dal potere proletario (i Soviet).
“La 'dittatura democratica rivoluzionaria del proletariato e dei contadini' è già un fatto (in una certa forma e fino a un certo punto) nella rivoluzione russa, poiché questa 'formula' prevede soltanto un rapporto tra le classi, e non un'istituzione politica concreta che realizzi questo rapporto e questa collaborazione” - scrive Lenin - “Il 'Soviet dei deputati degli operai e dei soldati' è la 'dittatura democratica rivoluzionaria del proletariato e dei contadini' già realizzata dalla vita”. Lenin parla di una “scissione, all'interno di questa dittatura, tra gli elementi proletari (antidifensisti, internazionalisti, 'comunisti', fautori del passaggio alla Comune), e gli elementi piccolo-proprietari o piccolo-borghesi […] che avversano il movimento per la Comune e propugnano l'appoggio alla borghesia e al governo borghese”.
Tutto il discorso di Lenin è imperniato sull'importanza di riconoscere come un dato di fatto ciò che la storia ha prodotto in Russia: “Chi pone il problema del 'compimento' della rivoluzione borghese alla vecchia maniera sacrifica il marxismo vivente alla lettera morta. La vecchia formula era: al dominio della borghesia può e deve seguire il dominio del proletariato e dei contadini, la loro dittatura. Ma nella vita reale è già andata diversamente: si è avuto un intreccio estremamente originale, nuovo, senza precedenti dell'uno e dell'altro dominio. Infatti esistono, l'uno accanto all'altro, il governo della borghesia (governo Lvov-Guckov) e la dittatura democratica rivoluzionaria del proletariato e dei contadini, che cede volontariamente il potere alla borghesia e si trasforma volontariamente in una sua appendice”. Una situazione evidente a Pietrogrado, dove il potere politico è di fatto nelle mani del Soviet, presentando molti tratti in comune con la Comune di Parigi, ma è di fatto consegnato al Governo provvisorio. Prima di andare avanti, è importante evidenziare la chiara prospettiva strategica che emerge già dalle dieci Tesi di Aprile. Alla prospettiva della presa del potere da parte del proletariato come “seconda tappa della rivoluzione”, si somma una chiara definizione della natura e della forma di questo potere. Lenin riconosce la centralità dei Soviet dei lavoratori, al punto da rigettare l'idea della repubblica parlamentare (tanto cara alle socialdemocrazie della seconda internazionale) in favore della “Repubblica dei Soviet”, forma concreta e già manifestata del potere dei lavoratori. È in questo periodo che Lenin riprende lo studio della Comune di Parigi e della dottrina marxista sullo Stato, che porterà pochi mesi dopo alla stesura del celebre Stato e rivoluzione, fra le sue opere più importanti, in cui si afferma che compito dei comunisti non è “governare” lo Stato borghese, ma distruggerlo costituendo una nuova forma di potere politico. Questa forma viene individuata nel potere dei Soviet, di cui Lenin indica le caratteristiche fondamentali: la fonte del potere che emana non dalla legge ma dall'iniziativa locale e diretta delle masse popolari, la sostituzione dell'esercito permanente con l'armamento del popolo, la presenza di funzionari revocabili e retribuiti come semplici operai. Una lezione che troppi “comunisti” hanno dimenticato è proprio che il socialismo non consiste nel semplice controllo del governo, nel governo di istituzioni politiche di natura borghese, attraverso le quali si promuovono politiche sociali nel quadro di un'economia e di un assetto politico che restano di natura capitalistica. La centralità che i bolscevichi danno ai Soviet, al di là delle specificità del contesto russo, è di profonda attualità nella misura in cui emerge tutta la differenza fra la presa del potere e il semplice andare al governo. Una centralità che si declina nella sua dimensione di classe: i Soviet sono istituzioni della classe lavoratrice, e non di un generico “popolo”; potere ai Soviet significa potere ai lavoratori. Oggi come ieri, la differenza fra una politica rivoluzionaria e una politica riformista sta proprio qui. Obiettivo dei comunisti nei vari paesi non è la conquista del governo, ma la presa del potere politico da parte della classe lavoratrice. E anzi, la storia ci ha mostrato che la partecipazione dei comunisti a governi borghesi non si tramuta in un compromesso temporaneo a favore delle classi popolari, ma nella compromissione dei comunisti con le politiche borghesi. Oggi come ieri, l'obiettivo dei comunisti resta la presa del potere. Molto significative, a tal proposito, sono le scelte tattiche compiute dal partito bolscevico per condurre alla presa del potere un partito che, nell'aprile 1917, costituiva una minoranza.
Un'ultima precisazione importante è opportuna prima di passare al prossimo paragrafo sulla tattica bolscevica. Ciò da cui muove l'analisi di Lenin è la convinzione che il dualismo di potere non sia destinato a durare, ma sia al contrario una fase transitoria: “Non c'è il minimo dubbio che questa 'compenetrazione' non può durare a lungo. Non ci possono essere due poteri in uno Stato. L'uno dei due deve scomparire, e tutta la borghesia della Russia già lavora con tutte le sue forze […] per creare il suo potere unico. Il dualismo del potere riflette soltanto il periodo transitorio dello sviluppo della rivoluzione, il periodo in cui essa ha già oltrepassato la fase democratica borghese ordinaria, ma non è ancora giunta ad una dittatura del proletariato e dei contadini allo 'stato puro'”. Una precisazione importante, perché mentre qualifica il dualismo di potere come una fase di instabilità e tutt'altro che duratura, individua le due sole alternative nel potere borghese, da una parte, e nel potere proletario, dall'altra. È assente, nel programma di Lenin, la teorizzazione di una “fase intermedia” fra il potere borghese e quello proletario, fra il capitalismo e il socialismo. L'idea che possa esserci una fase intermedia “prima” del socialismo e del potere proletario è stata teorizzata, e viene teorizzata anche oggi, da diversi partiti opportunisti. Il dualismo di potere, lungi dall'essere una “fase intermedia” che precede l'instaurazione del socialismo, è appunto una fase di instabilità in cui i due poteri convivono, che non può che risolversi a favore dell'uno o dell'altro potere. E proprio con l'obiettivo della presa del potere da parte del proletariato e dei Soviet, Lenin elabora una tattica coerente con questa strategia rivoluzionaria. […] Nello stesso momento in cui Lenin afferma che in Russia “esiste già” la dittatura del proletariato, precisa che si tratta di un potere embrionale: “Nella misura in cui esistono i Soviet, nella misura in cui essi sono il potere, esiste oggi in Russia uno Stato del tipo della Comune di Parigi. Ho sottolineato l'espressione 'nella misura in cui'; perché si tratta solo di un potere embrionale. Un potere che, mediante accordi diretti con il Governo provvisorio borghese e una serie di concessioni concrete, ha ceduto e continua a cedere le proprie posizioni alla borghesia”. Ed è a questo punto che la riflessione evolve al passaggio superiore, spostandosi sui compiti dei bolscevichi espressi nella quarta delle Tesi d'Aprile: i Soviet cedono posizioni alla borghesia “perché Ckheidze, Tsereteli, Steklov e soci commettono un 'errore'? Sciocchezze. […] La causa sta nel grado insufficiente di coscienza e di organizzazione dei proletari e dei contadini. L''errore' dei capi menzionati più sopra sta nella loro posizione piccolo borghese, nel fatto che essi offuscano la coscienza degli operai, invece di illuminarla, inculcano illusioni piccolo-borghesi, invece di confutarle, consolidano l'influenza della borghesia sulle masse, invece di sottrarre le masse a tale influenza”.
Le conclusioni che Lenin trae nell'articolo Sul dualismo di potere, rispondendo alla domanda “bisogna rovesciare subito il Governo provvisorio?”, sono tre: “1) Bisogna rovesciarlo, perché è un governo oligarchico, borghese e non di tutto il popolo, che non può dare né la pace né il pane né la libertà completa; 2) è impossibile rovesciarlo subito, perché poggia su un accordo diretto e indiretto, formale e di fatto, con i Soviet dei deputati operai e, anzitutto, con il Soviet principale, quello di Pietrogrado; 3) è in generale impossibile 'rovesciarlo' con i metodi consueti, perché gode dell''appoggio' fornito alla borghesia dal secondo governo, dal Soviet dei deputati operai”. E ancora: “Per diventare il potere, gli operai coscienti devono conquistare la maggioranza: fino a quando non ci sarà violenza contro le masse, non c'è altro modo di giungere al potere. Noi non siamo dei blanquisti, non vogliamo la conquista del potere da parte di una minoranza. Siamo dei marxisti e sosteniamo la lotta di classe proletaria contro l'intossicazione piccolo-borghese, contro lo sciovinismo e il difensismo, contro le frasi vuote, contro la soggezione alla borghesia”.
Lenin afferma così una posizione pienamente marxista, che non confonde la politica rivoluzionaria con l'azione avventurista di una minoranza, ponendosi al contrario l'obiettivo di un lavoro costante e paziente all'interno dei Soviet per conquistare la maggioranza dei lavoratori alla causa della rivoluzione. Una tattica che Lenin propone in piena coscienza dell'enorme difficoltà di un simile lavoro fra le masse. Ad esempio, in merito al difensismo rivoluzionario, cioè all'idea che si debba supportare il proseguimento della guerra da parte del Governo Provvisorio, Lenin scrive: “La massa dei sostenitori del difensismo considera la questione in modo semplice, rifacendosi al senso comune: 'Non voglio annessioni, ma se il tedesco 'mi piomba addosso', vuol dire che difendo una causa giusta e non gli interessi imperialistici'. A questa massa bisogna spiegare e rispiegare che non si tratta dei suoi desideri personali, ma dei rapporti e delle condizioni politiche di massa e di classe, del legame della guerra con gli interessi del capitale e con la rete finanziaria internazionale”. La parte più interessante e attuale, con molte similitudini con la situazione in cui operano oggi i comunisti in Italia e in Europa, sta nel già citato dibattito con Kamenev e in ciò che Lenin risponde a chi obietta che la sua strategia si traduce nel relegare il partito bolscevico ad attività di mera propaganda. Scrive Lenin nelle Lettere sulla Tattica, pubblicate in opuscolo a Pietrogrado: “Il compagno Kamenev conclude la sua nota affermando che 'spera di far prevalere in un'ampia discussione il suo punto di vista come il solo accettabile per la socialdemocrazia rivoluzionaria, se essa vuole e deve restare sino in fondo il partito delle masse rivoluzionarie del proletariato e non trasformarsi in un gruppo di propagandisti comunisti'. Mi sembra che queste parole rivelino una valutazione profondamente sbagliata della situazione attuale. Il compagno Kamenev oppone il 'partito delle masse' al 'gruppo di propagandisti'. Ma proprio oggi le 'masse' sono intossicate dal difensismo 'rivoluzionario'”.
Lenin prosegue: “Non sarebbe allora meglio per gli internazionalisti sapersi opporre in questo momento all'intossicazione 'di massa' invece di 'voler restare' con le masse, cedendo al contagio generale? Non abbiamo visto gli sciovinisti, in tutti i paesi belligeranti d'Europa, giustificarsi con il desiderio di 'restare con le masse'? Non è nostro dovere saper rimanere per un certo tempo in minoranza contro l'intossicazione 'di massa'? E il lavoro di propaganda non è proprio nel momento attuale il fattore più importante per depurare la linea proletaria dall'intossicazione difensistica e piccolo-borghese delle 'masse'? Proprio la fusione delle masse proletarie e non proletarie, senza distinzione di classe nel loro seno, è stata una delle condizioni dell'epidemia del difensismo. Parlare con disprezzo del 'gruppo di propagandisti' della linea proletaria è, forse, poco opportuno”. Sempre sul lavoro “di propaganda”, scriverà qualche giorno dopo Lenin nel Progetto di piattaforma del partito proletario: “Si tratta, in apparenza, 'soltanto' di un lavoro di propaganda. In realtà, questo lavoro è più di ogni altro un lavoro pratico rivoluzionario, perché non è possibile far progredire una rivoluzione che si è fermata, che è soffocata dalle frasi, che 'segna il passo' non a causa di ostacoli esterni, non a causa delle violenze della borghesia, ma a causa della credula inconsapevolezza delle masse. Solo combattendo questa credula inconsapevolezza potremo liberarci dalla trionfante orgia di frasi rivoluzionarie e dare impulso reale sia alla coscienza proletaria che alla coscienza delle masse”. Una posizione lucidissima, che farebbe sicuramente impallidire gli opportunisti moderni, sempre pronti a fare appello alle “masse” per giustificare l'abbandono di una linea coerentemente comunista, che confondono il “lavoro con le masse” con il codismo o più semplicemente con la diluizione dei propri principi. È noto che per queste posizioni i bolscevichi furono poi accusati di essere estremisti e settari. Ma come si può leggere, Lenin aveva ben chiara la differenza che intercorreva fra l'opportunismo da una parte, il settarismo dall'altra, e il lavoro politico di avanguardia proprio dei comunisti. Una lezione attualissima, che richiama ad argomentazioni e obiezioni che ogni militante della gioventù comunista si è sentito rivolgere contro. […] Gli opportunisti definiscono il settarismo come il rifiuto di fare alleanze politiche anche contro gli interessi del proletariato; nella loro concezione settario è chi non rinuncia a una politica rivoluzionaria conseguente, neanche in una fase oggettivamente non rivoluzionaria. I rivoluzionari, al contrario, sanno che il settarismo sta nel rifiuto del lavoro di massa. Settario, cioè, è chi si limita a indicare alle masse la “retta via”, lasciando ad esse il compito di intraprenderla. Il compito dei rivoluzionari, al contrario, è quello di condurre un costante lavoro politico-ideologico di chiarificazione, conquistando consensi fra le masse sul terreno della lotta politica quotidiana.
Come visto nel paragrafo precedente, Lenin individua l'obiettivo strategico della conquista del potere e del rovesciamento del Governo Provvisorio, da raggiungere applicando la tattica del lavoro politico quotidiano di chiarificazione. Un elemento tattico dunque tutt'altro che fine a sé stesso, ma che scaturisce direttamente dalla strategia rivoluzionaria. È Lenin stesso a chiarirlo, nel rispondere alle già citate accuse di blanquismo. Sempre nelle Lettere sulla tattica, in risposta a Plechanov, si legge: “Nelle mie tesi ho ricondotto tutto, nel modo più esplicito, alla lotta per l'influenza all'interno dei Soviet […] e per non lasciare in proposito nemmeno l'ombra di un dubbio, nelle tesi ho sottolineato due volte la necessità di un lavoro di 'spiegazione', paziente e tenace, che 'si conformi ai bisogni pratici delle masse'. Gli ignoranti o i rinnegati del marxismo, come il signor Plechanov e i suoi simili, possono gridare all'anarchia, al blanquismo, ecc. Chi vuole invece riflettere e imparare non può non capire che il blanquismo è la presa del potere da parte di una minoranza, mentre i Soviet sono notoriamente l'organizzazione diretta e immediata della maggioranza del popolo. Un'azione ricondotta alla lotta per assicurare la propria influenza all'interno dei Soviet non può, non può assolutamente, portare nel pantano del blanquismo”. Quest'ultimo passaggio è molto importante perché fu esattamente il punto che, negli anni '70, fu del tutto sottovalutato e trascurato da chi in Italia scelse la via della lotta armata convinto di star praticando una politica rivoluzionaria. La tragedia di quegli anni fu proprio quella di un PCI che scelse la via del riformismo e della conciliazione fra le classi, rifiutando letteralmente la gioventù che aveva voglia di lottare, da una parte, e dall'altra una sinistra extraparlamentare, più o meno legata al marxismo, che nel nome della rivoluzione vide migliaia di militanti scivolare nel pantano della lotta armata e del terrorismo individualistico; una “prima linea” di un corteo che non esisteva, per riprendere l'espressione di un'opera cinematografica degli ultimi anni, che pretendeva idealisticamente di poter alzare il livello dello scontro senza il consenso della maggioranza della classe lavoratrice e delle classi popolari. La lezione da apprendere dalle scelte di Lenin e dei bolscevichi, al contrario, è che non esiste contraddizione fra l'essere minoranza e il portare avanti una politica rivoluzionaria, così come non c'è contraddizione nel portare avanti una politica rivoluzionaria in una fase che non è rivoluzionaria. In questi anni, tanti hanno utilizzato questi argomenti per giustificare l'abbandono di una linea rivoluzionaria e l'approdo alla socialdemocrazia e al riformismo. Un elemento fondamentale dell'essere rivoluzionari, tuttavia, è proprio la comprensione che le condizioni per la conquista del potere non si attendono, ma si preparano giorno dopo giorno, con il lavoro quotidiano a contatto con la massa. […]
Nelle Tesi di Aprile, si legge nel manuale di storia del PCUS, Lenin richiedeva “che ci si liberasse dei 'panni sporchi', che cioè si rinunciasse al nome di partito socialdemocratico. Socialdemocratici si chiamavano i partiti della II Internazionale e così pure i menscevichi russi. Quel nome era stato infangato, disonorato dagli opportunisti, traditori del socialismo. Lenin propose di chiamare il partito bolscevico col nome di partito comunista, come Marx ed Engels avevano chiamato il loro partito: nome scientificamente esatto, essendo il comunismo lo scopo finale del partito bolscevico”. Una sintesi fedele delle parole dello stesso Lenin nel già citato Progetto di piattaforma del partito proletario. Allo stesso tempo, Lenin individuava l'obiettivo strategico della fondazione della Terza Internazionale. Il partito bolscevico, prima ancora della presa del potere, era cosciente di essere il partito più conseguentemente rivoluzionario, e proiettava sul piano internazionale la sua attività per la rottura con la socialdemocrazia. È da questa frattura che nascerà il movimento comunista propriamente detto. Abbiamo già citato, in questo e nel precedente articolo, gli elementi che portarono alla rottura con la socialdemocrazia e la II Internazionale: l'approccio nei confronti dell'imperialismo e della guerra, ovvero la necessità di una politica conseguentemente internazionalista; la necessità dell'abbandono di ogni illusione riformista in favore di una strategia rivoluzionaria, ecc. L'acuirsi di questa frattura nei partiti socialisti e socialdemocratici dei vari paesi, specie in seguito alla Rivoluzione d'Ottobre, porterà alla nascita dei partiti comunisti e della Terza Internazionale.
[…] Il 7 maggio (24 aprile nel vecchio calendario russo) si apriva la VII Conferenza bolscevica, passata alla storia come “Conferenza d'Aprile”. Era la prima volta che bolscevichi potevano tenere legalmente una conferenza, e assunse, per la sua importanza, lo stesso valore di un congresso. Prima della conferenza erano avvenuti alcuni episodi fondamentali, che avevano mutato la composizione del Governo Provvisorio. Il 1° maggio il ministro degli affari esteri, Miljukov, aveva dichiarato ai paesi alleati (Inghilterra e Francia) che “il popolo intero desidera continuare la guerra mondiale fino alla vittoria finale e il Governo provvisorio intende osservare pienamente gli impegni assunti con i nostri alleati”. Era la prima volta che il Governo provvisorio dichiarava apertamente la sua intenzione di proseguire la guerra imperialista, certo evidente già dai primi giorni, ma che sortì tutt'altro effetto con una dichiarazione così esplicita. La dichiarazione, ricordata come la “nota di Miljukov”, divenne nota il giorno successivo (2 maggio). Il 3 maggio il Comitato Centrale del Partito bolscevico lanciò la mobilitazione di massa, e per due giorni (3-4 maggio) più di 100mila lavoratori scesero in piazza contro la guerra, rilanciando slogan bolscevichi sul “potere ai Soviet”. Il Comitato Centrale, in quell'occasione, condannò come “avventuristi di sinistra” alcuni membri del Comitato di Pietrogrado che avevano lanciato prematuramente la parola d'ordine dell'immediato rovesciamento del Governo provvisorio. Due settimane dopo, Miljukov fu escluso dal governo provvisorio e si formò un nuovo governo di coalizione, che vedeva diversi menscevichi (Skobelev, Tsereteli) e socialisti-rivoluzionari (Černov, Kerenskij e altri). Queste le parole con cui il manuale di storia del PCUS commenta l'entrata dei menscevichi nel Governo provvisorio, che in precedenza includeva solamente il socialista-rivoluzionario Kerenskij: “i menscevichi, che nel 1905 avevano ritenuto inammissibile che i rappresentanti della socialdemocrazia partecipassero a un Governo provvisorio rivoluzionario, ritenevano ora ammissibile che i loro rappresentanti partecipassero a un governo provvisorio controrivoluzionario”. La Conferenza bolscevica si aprì alla presenza di 133 delegati, ed elaborò la linea del partito in tutte le questioni fondamentali. La conferenza stabilì che uno dei compiti più importanti del Partito era spiegare alle masse il carattere imperialista del Governo provvisorio, orientandole verso la presa del potere. A prevalere fu la linea promossa da Lenin, non senza contrarietà (Kamenev e Rykov, che ritenevano che la Russia fosse “immatura” per una rivoluzione socialista, avevano proposto di limitarsi a “controllare” il Governo provvisorio). Lo stesso avvenne in merito alle questioni internazionali (in quel caso fu Zinov’ev a dirsi contrario alla rottura totale con la Seconda Internazionale, preferendo restare con il “blocco di Zimmerwald”; fu accettata invece la posizione di netta contrarietà alla guerra) e sulla questione agraria (la proposta di risoluzione di Lenin sviluppava la 6° delle Tesi di Aprile). Sulla questione nazionale fu approvata la risoluzione proposta da Stalin, sul diritto dei popoli oppressi all'autodeterminazione. In Conclusione, la conferenza seguì compatta le dieci tesi di Lenin su tutte le questioni centrali, e orientò definitivamente il Partito bolscevico verso la rivoluzione socialista. Una delle frasi più conosciute di Lenin è che “senza teoria rivoluzionaria non c'è movimento rivoluzionario”. Con la Conferenza di Aprile il partito bolscevico assumeva una corretta impostazione teorica. Da quel momento, tutto dipendeva dalla realizzazione nella prassi degli obiettivi che il Partito si era dato, dal lavoro quotidiano dei quadri del Partito dai quali dipendeva l'effettivo sviluppo della linea rivoluzionaria. Come affermò poi Stalin in un suo saggio sull'organizzazione, “quando la giusta linea politica è fissata, il lavoro d'organizzazione è ciò che decide di tutto, compresa la sorte della linea politica stessa, della sua realizzazione o del suo insuccesso”.