15. L'ARGENTINA DELL'AMBIGUO PERÒN
«Ti confesso con tutta sincerità che la caduta di Perón mi ha profondamente amareggiato; non per lui, ma per quello che significa per tutta l'America Latina, perché suo malgrado e nonostante il forzoso tentennamento degli ultimi tempi, l'Argentina era il paladino di tutti noi che pensavamo che il nemico stesse al nord. Per me, che ho vissuto le amare ore del Guatemala, si è trattato di un calco a distanza».Si sono dette tante cose sul colonnello Peròn e sulla sua incerta collocazione politica.
(Ernesto “Che” Guevara, 24 settembre 1955, in una lettera alla madre)108
Leggiamo quanto scrive Paco Pena109: «il dissidio fra Argentina e USA risaliva all'epoca della seconda guerra mondiale. Peròn, che giunse legalmente al potere nel 1946, era rimasto nell'Italia di Mussolini tra il 1939 e il 1941. Accusato di simpatie filofasciste, partecipò alla sollevazione militare del 1943», ottenendo incarichi di rilievo nella giunta militare.
Cosa ha fatto in questo breve periodo?
«Avviò una serie di significative misure […] a difesa della classe lavoratrice: creazione dei tribunali del lavoro, stipula di contratti collettivi di lavoro, aumenti salariali, indennità di licenziamento, statuti del bracciante agricolo e del giornalista, regolamentazioni delle associazioni professionali, unificazione del sistema di previdenza sociale, pensioni, creazione dell’ospedale per i ferroviari, scuole tecniche per operai, proibizione di agenzie di collocamento private. Le condizioni della classe operaia e bracciantile argentina cambiarono a tal punto che a causa della sua popolarità il governo allarmato lo fece arrestare nell’ottobre del ’45 (allora era vicepresidente della repubblica, ministro della difesa, segretario al lavoro). La colossale mobilitazione di popolo promossa dai sindacati peronisti costrinse la dittatura a rimettere in libertà Perón ed a garantire libere elezioni».110Riprendiamo con Pena: «Egli caldeggiava una politica nazionalistica che infastidiva gli interessi statunitensi, e gli USA si accanirono a rendergli dura la vita. L'ambasciatore yankee a Buenos Aires, Sprulle Bradem, uomo della compagnia petrolifera Esso, condusse una campagna apertamente antiperonista» e
«intervenne nella campagna presidenziale facendo pubblicare un dossier (il Libro blu) dove accusava Peròn di essere nazista. Peròn rispose con un Libro azul y blanco [i colori della bandiera argentina] in cui affermò che gli USA volevano “insediare un loro governo, un governo fantoccio, e per questo hanno cominciato ad assicurarsi il concorso di tutti i 'Quisling' disponibili”. […] Il risultato delle elezioni attribuì una larga maggioranza a Peròn, e il giornale Saturday Evening Post, commentando la politica di intervento negli affari interni argentini condotta dal Dipartimento di Stato, scrisse: “È la prova della schizofrenia politica che mina il prestigio e l'influenza statunitensi. Il popolo argentino ha risposto come avrebbe risposto qualunque popolo qualora un gruppo di stranieri si sentisse autorizzato a indicargli la politica da seguire”».111Danilo Caruso112 segnala che Peròn «aveva avuto contro uno schieramento di partiti che andava dalla sinistra alla destra, sostenuto dagli USA e dagli Inglesi che perderanno il controllo economico e politico dell’Argentina». Secondo l'enciclopedia De Agostini, Peròn «salito al potere, instaurò un regime ispirato a un vago populismo e volto a una rapida industrializzazione. Alienatosi l'appoggio della borghesia, quando esasperò la politica sociale e soprattutto quando nazionalismo e militarismo ebbero coinvolto il paese in una profonda crisi economica, Perón fu deposto nel settembre 1955 da una rivolta militare e costretto all'esilio».
Nel 1950 Peròn pubblica il manifesto del suo Partido justicialista, fondato su venti punti da cui emerge una visione certamente patriottico-nazionalista (il nazionalismo nell'America Latina va inteso nel senso progressivo che ha avuto nell'Europa di metà '800, non cioè come volontà di aggredire e circuire altre nazioni, ma come ricerca di un'effettiva indipendenza e sovranità popolare e nazionale) ma in generale molto sincretica, traendo temi anche dal socialismo, da una «terza via economica» (vedi corporativismo e interclassismo) tratta dal fascismo italiano (sebbene Peròn non si sia mai dichiarato fascista). La sua disponibilità a dare asilo politico indiscriminatamente a tutti ha favorito anzitutto i nazisti in fuga dalla Germania sconfitta, il che ha alimentato forti sospetti sulle sue simpatie politiche. Peròn non è insomma certamente un comunista, ma nell'Argentina dell'epoca ha svolto un ruolo storicamente progressivo (in maniera similare alla dittatura di Vargas in Brasile), vedendo chiara l'esigenza di sviluppare industrialmente il proprio paese attraverso l'emancipazione dagli USA e dagli interessi economici stranieri, senza avviare una repressione della classe operaia e delle sue organizzazioni. Inoltre «in politica estera l’Argentina peronista mirò infruttuosamente alla creazione di un terzo schieramento mondiale che s’incuneasse tra quelli di USA e URSS, un blocco dei paesi latini d’Europa e d’America di cui divenir leader (nel ’46 aveva ristabilito relazione con l’Unione sovietica e durante la guerra di Corea aveva ignorato la richiesta d’invio di truppe rivoltale dagli Stati Uniti)». Dopo il golpe militare del 1955 venne «messo al bando il Partito comunista e reintrodotta la pena capitale». Da ricordare anche altri dati: «per un secolo fino al 1912 era esistito il voto cantado ossia l’elettore al seggio rendeva pubblicamente noto per chi votava, il governo peronista aveva mantenuto il voto segreto; il dato nazionale sulla ripartizione dei guadagni d’impresa aveva assegnato nel 1948 il 53% ai lavoratori, laddove questo si era attestato al 44,4% nel ’43)».113 Nel peronismo convive di tutto, tant'è che anche in Italia è stato sostenuto sia nell'estrema destra che nell'estrema sinistra. I giudizi particolarmente benevoli di Peròn sul fascismo italiano, visto come «esperimento» di «socialismo nazionale» sono tacciabili come minimo di profonda ingenuità, ma la posizione di equiparazione tra gli imperialismi dell'URSS e degli USA, se dal punto di vista pratico ha portato ad un'equidistanza che in America Latina è un fattore progressivo, è stata giustificata secondo un classico leitmotiv tipico del nazifascismo. Non è un caso che quando
«ritornò trionfalmente a Buenos Aires nel 1971, dopo il lungo esilio spagnolo, Perón fu accolto entusiasticamente da due gruppi di seguaci che si odiavano e si combattevano: i montoneros, guerriglieri del peronismo rivoluzionario, e i nazional-sindacalisti di José Ignacio Rucci. Lo slogan dei primi era “Perón, Evita, la patria socialista”; lo slogan dei secondi “Perón, Evita, la patria peronista”».114
108. Riportato in Siporcuba.it, Che Guevara. Inchiesta su un mito: Nascita di un guerrigliero, Siporcuba.it.
109. P. Pena, Gli interventi statunitensi in America Latina, cit., p. 346.
110. D. Caruso, Il giustizialismo peronista, In Storia, n° 33 (LXIV), settembre 2010.
111. P. Pena, Gli interventi statunitensi in America Latina, cit., p. 347.
112. D. Caruso, Il giustizialismo peronista, cit.
113. Ibidem.
114. S. Romano, Peron, un Caudillo tra comunismo e capitalismo yankee, Corriere della Sera, 29 giugno 2005.