13.1. LE REPUBBLICHE DELLE BANANE DI CHIQUITA
Il gruppo statunitense Chiquita è il maggiore fornitore di banane in Europa. Il gruppo è fondato nel 1899 con il nome di United Fruit Company. La United Fruit (oggi Chiquita), nel 1949 possiede nel Centro America 1,4 milioni di ettari, la maggior parte dei quali concentrati in latifondi in Guatemala, paese in cui la rete ferroviaria nasce per soddisfare l'esigenza di trasportare i prodotti verso i porti commerciali. In questi latifondi la produzione principale è la banana che la United Fruit esporta negli USA e in Canada.
Quando nel 1954 in Guatemala, il nuovo governo progressista di Jacobo Arbenz minaccia di nazionalizzare quasi 200.000 ettari di latifondo di proprietà della United Fruit, compromettendo la stessa produzione della banana, la multinazionale istiga gli USA a fare un colpo di stato per far cadere il governo di Arbenz. Detto fatto: dopo aver organizzato tramite la CIA una rivoluzione colorata ante litteram, gli USA impongono al potere un uomo di fiducia, Castello Armas, instaurando un governo militare che durerà parecchi decenni, dando vita ad una feroce repressione tristemente nota come “guerra sporca”: saranno decine di migliaia i “desaparecidos” tra gli oppositori, nella maggioranza indigeni poveri che si oppongono duramente al governo filo statunitense e alle misere condizioni di vita e di lavoro a cui li costringe la multinazionale. Come quello guatemalteco, anche altri regimi nel continente latinoamericano sono foraggiati da Washington, sempre pronta a reprimere qualsiasi movimento o persona che osi mettere in discussione il dominio delle multinazionali statunitensi.
Quando nel 1954 in Guatemala, il nuovo governo progressista di Jacobo Arbenz minaccia di nazionalizzare quasi 200.000 ettari di latifondo di proprietà della United Fruit, compromettendo la stessa produzione della banana, la multinazionale istiga gli USA a fare un colpo di stato per far cadere il governo di Arbenz. Detto fatto: dopo aver organizzato tramite la CIA una rivoluzione colorata ante litteram, gli USA impongono al potere un uomo di fiducia, Castello Armas, instaurando un governo militare che durerà parecchi decenni, dando vita ad una feroce repressione tristemente nota come “guerra sporca”: saranno decine di migliaia i “desaparecidos” tra gli oppositori, nella maggioranza indigeni poveri che si oppongono duramente al governo filo statunitense e alle misere condizioni di vita e di lavoro a cui li costringe la multinazionale. Come quello guatemalteco, anche altri regimi nel continente latinoamericano sono foraggiati da Washington, sempre pronta a reprimere qualsiasi movimento o persona che osi mettere in discussione il dominio delle multinazionali statunitensi.
La repressione serve anche a garantire manodopera e trasporti a basso costo a favore delle multinazionali USA, per garantirne un dominio senza rivali. Questa politica imperialista degli USA mostra lo stretto collegamento tra potere politico ed economico. Nel caso del Guatemala questi legami balzano all'occhio osservando che l’allora Segretario di Stato USA, John Foster Dulles, e il direttore della CIA, Allen Dulles, avevano lavorato precedentemente come consulenti legali per la stessa United Fruit; lo stesso Segretario di Stato per gli Affari Interamericani dell'epoca è John Moors Cabot, fratello di Thomas Cabot, Presidente della United Fruit. È noto inoltre come la UFC abbia dato il suo appoggio finanziario e materiale (fornendo perfino aerei aziendali da usare per l'attacco) ai controrivoluzionari cubani coinvolti nell'invasione della baia dei Porci del 1961.
La società nel 1970 assume il nome Chiquita Brands International Inc. per cambiarlo di nuovo nel 1990 diventando Chiquita Brands International.
La società nel 1970 assume il nome Chiquita Brands International Inc. per cambiarlo di nuovo nel 1990 diventando Chiquita Brands International.
Ancora nel 2002 Human Rights Watch denuncia la condizione di bambini tra gli 8 e i 13 anni che lavorano nelle piantagioni di aziende come Chiquita, Dole e Del Monte per 3,5 euro al giorno, esposti a pesticidi velenosi, costretti a portare carichi pesanti, a bere acqua inquinata e in alcuni casi a subire abusi sessuali. Un reportage del magazine tedesco Nano ha mostrato che nelle piantagioni i diritti sindacali sono spesso ignorati e che i lavoratori sono talvolta esposti senza protezione a pericolosi pesticidi. L'università di Augsburg ha scoperto che Chiquita impiega nelle proprie piantagioni agenti chimici che generano «danni al sistema nervoso, disturbi respiratori, irritazioni alla pelle, ecc». In Colombia l'azienda è accusata di aver finanziato per anni i gruppi paramilitari che hanno terrorizzato la popolazione locale e sono responsabili della morte di migliaia di persone. I familiari di circa 400 vittime di tortura e omicidi hanno citato il gruppo nel 2007, chiedendo un risarcimento di 7,8 miliardi di dollari. Come ha riportato la rivista Focus, già nel marzo di quell'anno Chiquita ammette di aver sostenuto i terroristi tra il 1997 e il 2004 con oltre 1,7 milioni di dollari. Il gruppo di conseguenza ha dovuto pagare una pena pecuniaria di 25 milioni di dollari. Di fronte alle campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica mondiale fatte dagli operatori del commercio equo e solidale, Chiquita (al pari di quanto fatto dalla Nike in altri campi produttivi) ha cercato di prendere le distanze dalle condizioni di schiavitù esistenti nelle piantagioni di banane, creando una rete di microimprese che, anche se formalmente indipendenti, nella pratica dipendono da essa (per esempio le piccole imprese “indipendenti” vendono tutta la loro produzione a una sola transnazionale anno dopo anno). Poco prima che il governo USA presentasse la denuncia per la strategia dell’UE, Carl Lindner, capo dell’American Financial Group, proprietario di Chiquita Brands International, ha fatto una donazione di 500 milioni di dollari in favore della campagna elettorale di Bill Clinton. Ciò dimostra ancora una volta come le lobby bananiere statunitensi siano strettamente legate al potere politico del loro paese e quanta importanza godano, visti gli enormi profitti che traggono dalla produzione e commercializzazione della banana.38
38. Fonti usate: Ivi, pp. 233-234; M. Liberti, Le repubbliche delle banane, Focus Storia, n° 76, febbraio 2013, pp. 46–49; S. Ceccoli, La banana simbolo di sfruttamento e di conflittualità commerciale tra USA e UE, CCDP, 25 maggio 2005; S. Spinelli, Banane in guerra, Peacereporter.net, 19 marzo 2007.