21 Novembre 2024

1.3. IL TRADIMENTO DELLA SECONDA INTERNAZIONALE

Allo scrosciare delle armi della Prima Guerra Mondiale parteciparono entusiasti praticamente tutti i partiti socialdemocratici e socialisti europei che componevano la Seconda Internazionale. Tale organismo, che pure ha avuto grandi meriti storici, era fondato infatti su un marxismo ancora inadeguato ai compiti storici che dovevano assolvere le organizzazioni che lo componevano, mostrando un livello ideologico ancora inadeguato. Pubblichiamo di seguito alcuni stralci dell'opera di Lenin (datata maggio-giugno 1915) intitolata Il fallimento della Seconda Internazionale8. Sono pagine che riportano parole molto attuali, per chi vuole intenderle:
«Per gli operai coscienti il socialismo è una profonda convinzione e non una comoda copertura delle tendenze conciliatrici piccolo-borghesi e delle tendenze dell’opposizione nazionalista. Per fallimento dell’Internazionale essi intendono l’obbrobrioso tradimento, perpetrato dalla maggioranza dei partiti socialdemocratici ufficiali, delle loro convinzioni, delle dichiarazioni più solenni fatte nei discorsi dei congressi internazionali di Stoccarda e di Basilea, fissate nelle risoluzioni di questi congressi, ecc. Possono non vedere questo tradimento solo coloro che non lo vogliono vedere, che non hanno interesse vederlo. Per formulare la cosa in modo scientifico, vale a dire dal punto di vista dei rapporti di classe nella società moderna, dobbiamo dire che la maggioranza dei partiti socialdemocratici, primo di tutti e alla loro testa il più grande e influente partito della II Internazionale, cioè il partito tedesco, si sono schierati a fianco dei rispettivi stati maggiori, dei rispettivi governi e della rispettiva borghesia contro il proletariato. Questo è un avvenimento di importanza storica mondiale e non è lecito non farne un’analisi, per quanto è possibile, completa. […] È o non è un fatto che i più importanti partiti socialisti d’Europa hanno rinnegato tutte le loro idee e rinunciato ai loro compiti? Certo, né i traditori stessi, né coloro che sanno con sicurezza - o prevedono confusamente - di dover vivere in pace e in amicizia con essi, desiderano parlare di queste cose. Ma per quanto ciò sia sgradito alle varie “autorità” della II Internazionale o ai loro amici […] noi dobbiamo guardare ben in faccia le cose, chiamarle col loro nome, dire ai lavoratori la verità. Esistono dati di fatto incontrovertibili i quali mostrano in quale modo i partiti socialisti, prima della guerra attuale e in previsione di essa, concepivano i loro compiti e la loro tattica? Esistono indiscutibilmente. C’è la risoluzione del Congresso internazionale socialista di Basilea del 1912, […] la sintesi di innumerevoli pubblicazioni di agitazione e di propaganda di tutti i paesi contro la guerra ed è l’enunciazione più precisa e completa, più solenne e formale delle idee socialiste sulla guerra e della tattica socialista di fronte alla guerra. Non si può non chiamare tradimento anche il solo fatto che neppure una delle autorità dell’Internazionale di ieri e del socialsciovinismo di oggi […] abbia il coraggio di ricordare questa risoluzione ai suoi lettori. O non ne parlano affatto o ne citano […] punti secondari, tralasciando tutti quelli essenziali. […] I rappresentanti dei partiti proletari di tutti i paesi hanno espresso a Basilea, unanimemente e formalmente, la loro incrollabile convinzione che si avvicinava una guerra di carattere precisamente imperialista e ne hanno tratto delle conclusioni tattiche. […] I partiti socialisti non sono circoli di discussione, ma organizzazioni del proletariato militante, e quando alcuni battaglioni passano dalla parte del nemico, bisogna chiamarli traditori e infamarli come tali, senza lasciarsi “accalappiare” dai discorsi ipocriti […].
Ma come è potuto avvenire che i capi e i rappresentanti più noti della II Internazionale abbiano tradito il socialismo? […] 1. Donde proviene il socialsciovinismo? 2. Che cosa gli ha dato forza? 3. Come dev’essere combattuto? Soltanto una simile impostazione del problema è seria; e ridurre il problema a una semplice questione di “personalità” è, in pratica, una semplice astuzia, un sotterfugio da sofista. Per rispondere alla prima domanda, bisogna esaminare, in primo luogo, se il contenuto ideologico-politico del socialsciovinismo non è per caso connesso a qualche altra precedente corrente del socialismo, e, in secondo luogo, quale rapporto esiste - dal punto di vista delle divisioni politiche effettive - tra l’attuale divisione dei socialisti in avversari e difensori del socialsciovinismo e le divisioni storiche che esistevano in passato. Per socialsciovinismo intendiamo l’accettazione dell’idea della difesa della patria nell’attuale guerra imperialista, la giustificazione dell’alleanza dei socialisti con la borghesia e con il governo del “loro” paese durante questa guerra, la rinunzia a propagandare e ad appoggiare le azioni rivoluzionarie del proletariato contro la “propria” borghesia, ecc. È ben chiaro che il contenuto politico-ideologico fondamentale del socialsciovinismo coincide pienamente con le basi dell’opportunismo. Sono un’unica, una stessa corrente. L’opportunismo, nella situazione della guerra del 1914-1915, produce appunto il socialsciovinismo. L’idea fondamentale dell’opportunismo è la collaborazione delle classi. La guerra la sviluppa fino in fondo, aggiungendo inoltre ai fattori e agli stimoli abituali di questa idea tutta una serie di nuovi elementi, costringendo, con speciali minacce e con la violenza, la massa disorganizzata e dispersa a collaborare con la borghesia. Questo fatto aumenta, naturalmente, la cerchia dei sostenitori dell’opportunismo e spiega pienamente il fatto che molti che prima erano radicali ora passano in questo campo. L’opportunismo consiste nel sacrificare gli interessi fondamentali delle masse agli interessi temporanei di un’infima minoranza di operai, oppure, in altri termini, nell’alleanza di una parte degli operai con la borghesia contro la massa del proletariato. La guerra rende tale alleanza particolarmente evidente e coercitiva. L’opportunismo è stato generato, nel corso di decenni, dalle particolarità di un determinato periodo di sviluppo del capitalismo, in cui uno strato di operai privilegiati, che aveva un’esistenza relativamente tranquilla e civile, veniva “imborghesito”, riceveva qualche briciola dei profitti del proprio capitale nazionale e veniva staccato dalla miseria, dalla sofferenza e dallo stato d’animo rivoluzionario delle masse misere e rovinate. La guerra imperialista è la diretta continuazione e la conferma di un tale stato di cose, perché è una guerra per i privilegi delle grandi potenze, per la ripartizione delle colonie tra queste grandi potenze e per il loro dominio sulle altre nazioni.
Per lo “strato superiore” della piccola borghesia o della aristocrazia (e burocrazia) della classe operaia, si tratta di difendere e di consolidare la propria posizione privilegiata: ecco il naturale proseguimento in tempo di guerra delle illusioni opportuniste piccolo-borghesi e della tattica corrispondente; ecco la base economica del socialimperialismo odierno. Naturalmente, la forza dell’abitudine, la consuetudine con una evoluzione relativamente “pacifica”, i pregiudizi nazionali, la paura dei rivolgimenti repentini e la sfiducia in essi sono le circostanze complementari che hanno rafforzato l’opportunismo e l’ipocrita e codarda conciliazione con esso, sia pure soltanto temporanea, sia pure soltanto per cause e ragioni particolari. La guerra ha modificato l’opportunismo sviluppatosi attraverso decenni, lo ha elevato a un grado superiore, ha aumentato il numero e la varietà delle sue sfumature, ha ingrossato le file dei suoi seguaci, ha arricchito i suoi argomenti con un mucchio di nuovi sofismi, ha incanalato, per così dire, molti nuovi ruscelli e ruscelletti nella corrente principale dell’opportunismo; ma la corrente principale non è scomparsa. Al contrario. Il socialsciovinismo è l’opportunismo maturato a tal punto che questa piaga borghese non può più continuare a esistere come prima all’interno dei partiti socialisti. Coloro che non vogliono vedere lo stretto, indissolubile legame che c’è fra il socialsciovinismo e l’opportunismo, invocano fatti e “casi” singoli: che un certo opportunista è divenuto un internazionalista; che un certo radicale è diventato uno sciovinista. Ma un simile argomento è tutt’altro che serio quando si tratta dello sviluppo delle correnti. In primo luogo, la base economica dello sciovinismo e dell’opportunismo nel movimento operaio è la medesima: l’alleanza degli strati superiori, poco numerosi, del proletariato e della piccola borghesia, che ricevono le briciole dei privilegi del “loro” capitale nazionale contro le masse proletarie e contro le masse lavoratrici oppresse in generale. In secondo luogo, il contenuto ideologico-politico delle due correnti è il medesimo. In terzo luogo, la vecchia divisione dei socialisti, propria del periodo della II Internazionale (1889-1914), in tendenza opportunista e in tendenza rivoluzionaria, corrisponde in complesso alla nuova divisione in sciovinisti e internazionalisti. […]
Da questo scaturisce la risposta alla domanda posta sopra: come si lotta contro il socialsciovinismo? Il socialsciovinismo è l’opportunismo talmente maturato, talmente rafforzato e divenuto talmente arrogante e invadente nel lungo periodo del capitalismo relativamente “pacifico”, tanto sistematicamente definito in campo ideologico e politico, tanto strettamente sottomesso alla borghesia e ai governi, che oramai non si può più tollerare la permanenza di tale corrente all’interno dei partiti operai socialdemocratici. Se si può ancora sopportare una suola debole e sottile quando si deve camminare sui marciapiedi moderni di una piccola città di provincia, non si può fare a meno di suole doppie e bene chiodate quando si va in montagna. Il socialismo europeo è uscito dallo stadio relativamente pacifico e dagli angusti confini nazionali. Con la guerra del 1914-1915, esso è giunto allo stadio dell’azione rivoluzionaria, e la completa rottura con l’opportunismo e la sua esclusione dai partiti operai sono assolutamente mature. È ovvio che da questa definizione dei compiti che il nuovo stadio dello sviluppo mondiale del socialismo pone ai partiti socialisti, non si deduce ancora immediatamente ed esattamente con quale rapidità e in quali forme si svolgerà concretamente nei singoli paesi il processo della scissione dei partiti operai socialdemocratici rivoluzionari da quelli opportunisti piccolo-borghesi. Ma da essa scaturisce la necessità di rendersi conto chiaramente che tale scissione è inevitabile e di orientare appunto in questo senso tutta la politica dei partiti operai. La guerra del 1914-1915 è una così grande svolta nella storia che i rapporti con l’opportunismo non possono rimanere quali erano nel passato. Non si può far sì che non sia stato ciò che è stato: non si può cancellare dalla coscienza degli operai, né dall’esperienza della borghesia, né dalle conquiste politiche della nostra epoca in generale, il fatto che gli opportunisti, nel momento della crisi, sono stati il nucleo di quegli elementi dei partiti operai che sono passati dalla parte della borghesia. L’opportunismo, se lo consideriamo su scala europea, fino allo scoppio della guerra era per così dire nella sua fase adolescenziale. Con la guerra esso è giunto definitivamente alla virilità e non è possibile renderlo nuovamente “innocente” e giovane. Si è formato tutto uno strato sociale di parlamentari, di giornalisti, di burocrati del movimento operaio, di impiegati privilegiati e di alcune categorie proletarie, che si è fuso e adattato alla propria borghesia nazionale, la quale ha ben saputo apprezzarlo e “adattarselo”. Non si può far girare all’indietro né arrestare la ruota della storia: si può e si deve andare avanti con coraggio e senza esitazioni, passare dalle organizzazioni legali operaie esistenti, prigioniere dell’opportunismo, alle organizzazioni rivoluzionarie della classe operaia, capaci di non limitarsi alla legalità, capaci di proteggersi dal tradimento opportunista, a un’organizzazione del proletariato che conduca la “lotta per il potere”, la lotta per l’abbattimento della borghesia. Da ciò si vede, tra l’altro, quanto sia falsa la concezione di quelli che offuscano la coscienza propria e quella degli operai col problema dell’atteggiamento da tenere verso le autorità più in vista della II Internazionale […]. In realtà, un tale problema non esiste: se costoro non comprendono i nuovi compiti, dovranno restare in disparte o restare prigionieri degli opportunisti, come lo sono attualmente. Se essi si liberano dalla “prigionia”, non troveranno probabilmente ostacoli politici al loro ritorno nel campo dei rivoluzionari. In ogni caso è assurdo sostituire il problema della lotta delle correnti e del cambiamento della fase del movimento operaio con il problema della funzione di singole persone. […]
Il fallimento della II Internazionale si è manifestata col massimo rilievo nel vergognosissimo tradimento delle proprie convinzioni e delle proprie solenni risoluzioni di Stoccarda e di Basilea, perpetrato dalla maggioranza dei partiti socialdemocratici ufficiali d’Europa. Ma questo fallimento che esprime la vittoria completa dell’opportunismo, la trasformazione dei partiti socialdemocratici in partiti operai nazional-liberali, è soltanto il risultato di tutto il periodo storico della II Internazionale: la fine del secolo XIX e l’inizio del secolo XX. Le condizioni obiettive di questo periodo di transizione - che va dalla fine delle rivoluzioni borghesi e nazionali in Europa occidentale all’inizio delle rivoluzioni socialiste - hanno generato e nutrito l’opportunismo. In certi paesi d’Europa notiamo in questo periodo una scissione nel movimento operaio e socialista, che, in generale, avviene precisamente tra chi accetta e chi ripudia l’opportunismo […]. In altri paesi notiamo una lotta lunga e ostinata tra tendenze lungo la stessa linea di demarcazione […]. La crisi generata dalla grande guerra ha strappato i veli, ha spazzato via le convenzioni, ha fatto scoppiare il bubbone maturato già da un pezzo e ha mostrato l’opportunismo nella sua vera funzione di alleato della borghesia. La completa asportazione organizzativa di questo bubbone dai partiti operai è diventata una necessità. Il periodo dell’imperialismo non ammette che coesistano in un solo partito l’avanguardia del proletariato rivoluzionario e l’aristocrazia semi piccolo-borghese della classe operaia, la quale profitta delle briciole dei privilegi derivanti dalla posizione di “grande potenza” della “propria” nazione. La vecchia teoria che considerava l’opportunismo come una “sfumatura legittima” di un partito unico, alieno dall’“estremismo”, si è oggi trasformata nel più grande inganno per gli operai e nel più grande ostacolo per il movimento operaio. L’opportunismo aperto, che respinge senz’altro lontano da sé la massa operaia, non è temibile e dannoso quanto la teoria del giusto mezzo, che giustifica la pratica opportunista con parole marxiste, che prova con una serie di sofismi l’intempestività delle azioni rivoluzionarie, ecc. […] Non si può sapere se lo scoppio di un potente movimento rivoluzionario avverrà subito dopo questa guerra, durante la medesima, ecc.; ma in ogni caso soltanto un’azione condotta in vista di esso merita il nome di azione socialista. La parola d’ordine che riassume e dirige quest’azione, che favorisce l’unificazione e la coesione di coloro che vogliono cooperare alla lotta rivoluzionaria del proletariato contro il proprio governo e contro la propria borghesia, è la parola d’ordine della guerra civile. […] Alla tattica internazionalista, vale a dire effettivamente e coerentemente rivoluzionaria, la classe operaia e il Partito operaio socialdemocratico russo sono stati preparati da tutta la loro storia».
8. L'opera, V. Lenin, Il fallimento della Seconda Internazionale, maggio-giugno 1915, è disponibile in formato integrale su http://www.nuovopci.it/classic/lenin/fall2ic.html.

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