10.4. L'INVOLUZIONE DELLA CONDIZIONE DELLE DONNE
Se la prima ragione per la quale i «combattenti per la libertà» si oppongono al processo rivoluzionario è l'opposizione alle misure economiche, la seconda è di tipo cultural-patriarcale: «le riforme andavano a toccare due punti sensibili dell'islamismo, ossia la sottomissione delle donne, dichiarando fuori legge il matrimonio infantile e la cessione di una donna in matrimonio in cambio del denaro o altri beni e l'alfabetizzazione femminile, in un momento in cui alcuni settori islamici invocavano apertamente il rafforzamento del purdah, l'isolamento delle donne, per non essere sfiorate dagli sguardi». Anche secondo il New York Times, in un articolo del 1980 che descrive la situazione afghana nel periodo dell'aprile 1979, segnala che «i ritratti di Lenin minacciavano i loro leader religiosi», ma «fu la concessione di nuovi diritti alle donne […] a spingere gli uomini musulmani ortodossi dei villaggi pashtun dell'Afghanistan orientale a prendere i fucili».142 Ecco come ricorda la caduta del regime rivoluzionario Suraya Perlika143, tra la fondatrici (1965) dell’Associazione Democratica delle Donne Afghane e (1992) dell'AAWU (Unione di tutte le Donne Afghane):
«Con gli avvenimenti e le violenze di quell’aprile 1992, la mia situazione precipitò immediatamente, fui licenziata e la mia famiglia perseguitata e attaccata, la casa fu saccheggiata, incendiata e distrutta, alcuni familiari non riuscirono a sfuggire alle violenze del nuovo regime e pagarono un caro prezzo, io fui condannata a morte e ricercata. Nonostante le pressioni della Mezzaluna Rossa che mi garantiva l’uscita dal paese e un rifugio all’estero, la mia decisione fu quella di entrare in clandestinità e restare nel mio paese e condividere le sorti del mio popolo. La città di Kabul fu divisa in 7 zone che rappresentavano le varie fazioni che presero il potere, a settembre gli scontri intestini tra le varie fazioni portarono al bombardamento della città, che causò migliaia di vittime civili, soprattutto donne, bambini e anziani. Nel frattempo, le donne venivano sistematicamente estromesse da tutte le attività lavorative, dall’insegnamento, dalla sanità e da tutte le attività sociali. Oltre a subire continue violenze, vessazioni e rapimenti, soprattutto non esistevano più le condizioni minime per la sopravvivenza dei nuclei familiari, l’Afghanistan entrò in un tunnel di disgregazione e devastazione sociali, senza precedenti. Io decisi di indossare il burqa e restare in Kabul, iniziando così un’attività di solidarietà e resistenza con le donne ma non solo, nella clandestinità, contando su una rete di contatti di fiducia e solidali, nonostante una repressione feroce e spesso selvaggia».
Da allora la situazione è perfino peggiorata, come spiega nel 2016 l'attivista Malalai Joya144:
«Sfortunatamente la situazione delle donne in Afghanistan è un disastro ancora maggiore, in paragone con l’epoca dei talebani. Gli uomini e le donne dell’Afghanistan non sono stati affatto liberati. Soffrono di ingiustizia, insicurezza, corruzione, disoccupazione, povertà… Le donne ed i bambini sono quelli che stanno peggio. La catastrofica situazione delle donne fu un’ottima scusa affinché la NATO occupasse il nostro paese ma, in realtà, ci ha collocato in prima linea rimpiazzando il regime dei talebani, misogini e fondamentalisti, con i signori della guerra, altrettanto misogini e fondamentalisti, che sono pappa e ciccia coi talebani e che ingannano il popolo afgano mascherati da democratici. Per questo motivo la situazione, specialmente per le donne, è un inferno nella maggior parte del paese. Perfino a Kabul le donne non si sentono sicure. Il drammatico caso di Farjunda, una ragazza di 27 anni accusata di avere bruciato un Corano, è sufficiente per capire la situazione di disastro assoluto delle donne. L’anno scorso, il 19 marzo, la linciarono brutalmente in pieno giorno, a pochi chilometri dal palazzo presidenziale, molto vicino alla Polizia afgana e alle truppe straniere. Dopo averla bastonata, la investirono con un’automobile, bruciarono il suo corpo e lo gettarono in un fiume vicino. Questa storia è già sufficiente per capire la situazione di insicurezza, la violazione dei diritti umani nel nostro paese. E nelle aree rurali è ancora peggio. Stupri, violenza machista nelle case, attacchi, bastonature a donne, lapidazioni… La violenza contro le donne si è acutizzata. A confronto con l’epoca dei talebani le donne e gli uomini del nostro paese avevano un nemico che erano i terroristi talebani ma in questi 15 anni dopo la nostra occupazione gente ha quattro nemici: i signori della guerra, i talebani, le forze di occupazione e l’Isis. Ed è vero che in alcune città grandi, Kabul, Herat, Mazzolare-i-Sharif, alcune donne hanno accesso a lavoro ed educazione, ma è solo per giustificare l’occupazione. Nelle aree rurali questo regime burattino e corrotto non ha fatto niente. A terra i talebani, i signori della guerra ed i terroristi dell’Isis continuano a commettere atrocità contro gli uomini e donne del nostro paese, specialmente le donne. Ma dal cielo, le forze di occupazione bombardano alla cieca e le vittime sono persone innocenti, nel nome di una supposta guerra contro il terrore. È una guerra contro i civili innocenti. Migliaia di persone sono state assassinate in questi 15 anni di occupazione, soprattutto donne e bambini».
142. W. Blum, Il libro nero degli Stati Uniti, cit., pp. 502-505, 513,
143. E. Vigna (a cura di), Intervista con Suraya Perlika, Presidente dell’ AAWU - Unione di tutte le Donne Afgane, CCDP, novembre 2002.
144. E. Gascò, La situazione delle donne in Afghanistan è peggiore che con i talebani, Diagonalperiodico.net-Marx21 (web), 25 ottobre 2016.